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Dossier La Cina fa sbandare i prezzi del bitcoin

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    Dossier | N. 83 articoliCriptovalute: bitcoin e le altre

    La Cina fa sbandare i prezzi del bitcoin

    Giornata ad altissima volatilità per il bitcoin. Nel corso della seduta di ieri criptovaluta è sprofondata sotto la soglia dei 3000 dollari per poi rapidamente recuperare terreno e riguadagnare quota 3600 dollari. Era da aprile di quest’anno che il bitcoin non scendeva sotto i 3000 dollari. Dai massimi di inizio mese ai minimi toccati nella seduta di ieri il Bitcoin si è svalutato di quasi il 40 per cento.

    A far scattare le vendite ieri, così come nelle ultime due settimane, sono state le notizie in arrivo dalla Cina. Prima l’indiscrezione rilanciata da Bloomberg secondo cui la banca centrale cinese sarebbe intenzionata a imporre uno stop alle contrattazioni della criptovaluta più famosa al mondo entro la fine di settembre. Poi la decisione della piattaforma di contrattazioni ViaBTC di bloccare, a partire dal 25 settembre, le nuove registrazioni e l’annuncio dello stop alle contrattazioni sulla piattaforma dal 30 di settembre. ViaBTC è la seconda piattaforma a fare un annuncio del genere. Giovedì aveva dato una comunicazione analoga anche BTCChina.

    I due annunci sono stati letti come una conferma circa le intenzioni delle autorità di imporre uno stop agli scambi anche se, di fatto, non è stata fatta alcuna comunicazione scritta in tal senso e non è escluso che le loro decisioni siano effetto più di pressioni informali delle autorità che di un bando ufficiale. Si vedrà nei prossimi giorni. Intanto i mercati fanno i conti con un cambio di rotta piuttosto brusco dopo il rally senza precedenti rigistrato dalla criptovaluta da inizio anno: quasi +400% il rialzo messo a segno dal 2 gennaio ai massimi toccati il primo di settembre.

    Il dietrofront delle ultime settimane è stato innescato da una serie di notizie hanno minato il presupposto alla base del rally: la scommessa che l’economia globale in futuro avrebbe sempre più fatto ricorso a questo strumento per le transazioni finanziarie. Una prospettiva che pare fortemente ridimensionata se la Cina, che è il Paese più popoloso al mondo e la seconda economia al mondo, impone una stretta.

    I dettagli sulle misure che le autorità della Repubblica popolare intendono attuare sono arrivati con il contagocce tra annunci ufficiali e rumors. La prima doccia fredda è arrivata lunedì 4 settembre con la decisione di dichiarare illegali le offerte iniziali di acquisto in bitcoin. La notizia ha fatto perdere circa il 10% in una sola seduta alla criptovaluta. La seconda battuta d’arresto è arrivata venerdì 8 con le prime indiscrezioni circa le intenzioni della Banca centrale cinese di porre uno stop alle contrattazioni. Ad aggiungere ulteriore pressione ci si è messo poi Jamie Dimon, numero uno di Jp Morgan che mercoledì, nel corso di una conferenza di Barclays a New York, ha definito il bitcoin una «frode» e un investimento che potrebbero fare solo «assassini, spacciatori, o gente che vive» in Paesi dall’economia al collasso come «Venezuela, Equador o Corea del Nord». Dimon, che ha definito il bitcoin una bolla speculativa simile a quella sul prezzo dei bulbi di tulipano che scoppiò in Olanda nel 1600, ha dichiarato che, se scoprisse un suo trader operare sul mercato dei bitcoin, lo licenzierebbe. «Per due ragioni: uno è contro le regole della banca, due è stupido». Risultato: un altro -6,75 per cento. Il tonfo più pesante tuttavia è arrivato giovedì quando, come accennato, BTCChina, una delle piattaforme più utilizzate in Cina per il trading di bitcoin ha annunciato che non avrebbe più registrato nuovi utenti e che avrebbe sospeso le contrattazioni alla fine del mese. L’impatto della notizia sui prezzi è stato negativo: -13% il ribasso nella seduta di giovedì.

    .@franceschi_and

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