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Dossier | N. (none) articoliFacebook e il datagate

Negli Usa scatta la prima class action contro Facebook. Zuckerberg parla entro 24 ore

Il profilo di Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump, si fa sempre più chiaro nella vicenda che sta mettendo sulla graticola Facebook per la diffusione illecita di dati relativi a 50 milioni di profili. Secondo quanto emerso nelle ultime ore, il programma per la raccolta di dati su Facebook fu avviato dalla Cambridge Analytica sotto la supervisione proprio di Bannon. Secondo Chris Wylie - ex dipendente della Cambridge Analytica nonchè la talpa che ha provocato lo scandalo - tre anni prima il suo incarico alla Casa Bianca Bannon cominciò a lavorare a un ambizioso programma: costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani su cui testare l'efficacia di molti di quei messaggi populisti che poi furono alla base della campagna elettorale di Trump.

Un test, cui ha fatto seguito nel 2016 una campagna elettorale vinta dall’attuale presidente grazie ai social, grazie al coinvolgimento di una serie di provider basati in Russia e nell’est Europa, che hanno puntato a screditare la rivale democratica Hillary Clinton

Bannon, già numero uno del magazine ultraconservatore Breitbart News, entrò a far parte del board della società Cambridge Analytica di cui è stato vicepresidente dal giugno 2014 all'agosto 2016, quando divenne uno dei responsabili della campagna elettorale di Trump. Fu lui che aiutò a lanciare la società grazie ai finanziamenti dei suoi ricchi sostenitori, a partire dalla famiglia miliardaria dei Mercer, i miliardari repubblicani che finanziarono l’operazione.. Prima ancora, fu lo stesso Bannon a scegliere il nome di Cambridge Analytica per la società con sede nel Regno Unito

La talpa
Chris Wylie, in una intervista al Washington Post, spiega come di fatto Bannon in quel periodo era il boss di Alexander Nix, il controverso Ceo della società che nelle ultime ore è stato sospeso dal suo incarico. «Nix non aveva l'autorità di spendere tutti quei soldi», afferma Wylie, che spiega come Bannon approvò nel 2014 una spesa di circa un milione di dollari per acquistare dati personali raccolti anche su Facebook. Bannon - riporta ancora il quotidiano della capitale - ha ricevuto dalla Cambridge Analytica nel 2016 oltre 125 mila dollari in compensi per le sue consulenze e ha posseduto una parte della società per un valore tra un milione e i 5 milioni di dollari.

La posizione di Facebook
«L'intera società è indignata, siamo stati ingannati”, fanno sapere i vertici del social media, negando responsabilità dirette nell’accaduto e promettendo indagini accurate e soluzioni sempre più efficaci a tutela della privacy. Londra, Washington, Bruxelles e l'italiana Agcom chiedono a Zuckerberg spiegazioni su quanto accaduto. Il titolo a Wall Street ha perso ieri un altro 2,56%. In due giorni Facebook ha visto ridurre la propria capitalizzazione di Borsa di circa 60 miliardi di dollari. Il Ceo di Facebook, silente fino a ora, potrebbe rompere il silenzio e parlare: secondo Axios, Zuckerberg ha voluto aspettare per dire qualcosa di significativo. Nel frattempo, il cofondatore del social network ha parlato con gli ingegneri del gruppo. Le dichiarazioni di Zuckerberg saranno volte a riportare fiducia tra i suoi utenti e forse anche tra gli investitori.

Spunta un altro video
Martedì è stato diffuso un video che confermerebbe il quadro che si sta delineando: l'amministratore delegato sospeso di Cambridge Analytica ha detto in un video registrato segretamente martedì che la sua campagna online di consulenza politica con sede nel Regno Unito ha avuto un ruolo decisivo nella vittoria elettorale del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel 2016. Si tratta della seconda parte di un video la cui prima parte era stato diffuso ieri dall’emittente 4Channel. Nella registrazione Nix descrive le pratiche discutibili usate per influenzare le elezioni straniere e racconta come la sua azienda abbia realizzato tutte le ricerche, analisi e targeting degli elettori per le campagne digitali e televisive di Trump. Il Ceo di Cambridge Analytica si vanta inoltre di aver incontrato Trump quando è stato candidato alla presidenza repubblicana “molte volte”.

Nel motivare la sospensione del Ceo la stessa società in un comunicato sostiene che i commenti di Nix «non rappresentano i valori o le operazioni dell'azienda e la sua sospensione riflette la serietà con cui vediamo questa violazione». Cambridge Analytica nega quanto apparso sui media negli ultimi giorni e dichiara di aver cancellato i dati dopo aver appreso che le informazioni non erano conformi alle norme sulla protezione dei dati.

Le nuove rivelazioni
Secondo un ex dipendente di Facebook, dati personali relativi a centinaia di milioni di utenti sarebbero stati raccolti con modalità simili a quelle utilizzate da Cambridge Analytica. Sandy Parakilas, che si occupava di gestire i rapporti con società terze parti tra il 2011 e il 2012, ha rivelato a The Guardian di aver avvertito i vertici di Facebook del fatto che il loro approccio poco rigoroso sulla protezione dei dati avrebbe potuto danneggiare la società. «Le mie preoccupazioni - ha detto - riguardavano il fatto che tutti i dati che Facebook lasciava sui server per gli sviiluppatori, non possono essere controllati dalla società. Non avevamo idea di ciò che gli sviluppatori stavano facendo con quei dati».

I comprimari
Nessun commento sulla vicenda e sulle dichiarazioni di Nix da Brad Parscale, il principale consulente digitale della campagna Trump del 2016 che si è occupato regolarmente di Cambridge Analytica. Idem da Jared Kushner, genero di Trump e ora senior adviser, il quale aveva supervisionato la parte digitale della campagna elettorale di Trump. Secondo alcune fonti sarebbe stato lui ha far entrare Cambridge Analytica nello staff della campagna 2016. L'avvocato di Kushner non ha immediatamente risposto a una richiesta di commento.
Christopher Wylie ha dichiarato al Washington Post che nel 2014 Steve Bannon, che sarebbe diventato consigliere di Trump alla Casa Bianca, ha supervisionato i primi passi di Cambridge Analytica nella raccolta di dati di Facebook per costruire profili dettagliati su milioni di elettori americani.

La campagna #DeleteFacebook
Negli ultimi giorni è scattata anche una mobilitazione social contro Facebook con un hashtag #DeleteFacebook che ha ottenuto (da domenica alla mezzanotte scorsa) negli ultimi tre giorni 90mila mentions. Tra i nomi illustri che hanno commentato con quest’hashtag ha fatto clamore il tweet di Brian Acton, fondatore di Whatsapp, società acquisità da Facebook nel 2014 per 14 miliardi di dollari. I dissapori tra Acton e il team guidato da Mark Zuckerberg hanno evidentemente inciso in questa fase.

Negli Usa scatta la prima class action
Inoltre è già scattata negli Usa la prima class action contro Facebook e Cambridge Analytica. L’azione legale è stata avanzata presso la corte distrettuale di San Josè, in California, e potrebbe aprire la strada a molte altre cause collettive per la richiesta dei danni provocati dalla mancata protezione dei dati personali. Dati raccolti senza alcuna autorizzazione - spiegano i promotori dell'azione legale - e che sono stati utilizzati per avvantaggiare la campagna di Donald Trump.

Il professor Kogan: «Io usato come capro espiatorio»
«Mi usano come capro espiatorio, sia Facebook sia Cambridge Analytica», ma la verità è che tutti sapevano tutto e tutti «ritenevamo di agire in modo perfettamente appropriato» dal punto di vista legale. Alexander Kogan, accademico americano figlio d'espatriati sovietici e docente di psicologia a Cambridge, non ci sta rimanere con il cerino in mano sullo scandalo del momento. E replica dai microfoni di Bbc Radio 4. È lui, attraverso una sua
app, l'uomo che ha raccolto ed elaborato i dati di 50 milioni di utenti di Facebook per poi passarli a Cambridge Analytica. Ma nega di aver ingannato chiunque. E mette inoltre in dubbio che quei dati possano aver avuto davvero un ruolo chiave nella vittoria di Trump. Kogan aggiunge di considerare alla stregua di millanterie pubblicitarie le affermazioni fatte in seguito dal management della stessa Cambridge Analytica di aver avuto un ruolo cruciale per far vincere Trump. «È un'esagerazione», sostiene Kogan, osservando che la maggior parte di quella montagna di dati sarebbe stata più adatta a danneggiare la campagna del tycoon che non a favorirla.

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