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Lo sovracapacità è il nemico da battere

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Mercato e industria

Lo sovracapacità è il nemico da battere

  • –di Stefano Aversa*

È ormai chiaro a tutti che stiamo attraversando una crisi senza precedenti per distruzione di valore ed estensione globale. Potremo chiamarla la prima crisi mondiale che, come tale, richiede misure da economia di guerra per molti Paesi, settori industriali e aziende. L'auto è tra i settori più colpiti. Vale la pena provare a individuare come rivederne l'assetto industriale per ridare una sostenibilità economica al settore.
L'industria dell'auto è particolarmente sensibile ai cicli economici in quando produce beni ad alto valore il cui acquisto può essere quasi sempre rinviato. A fronte di un Pil nei Paesi europei cresciuto nel 2008 intorno al l'1% (ma con l'Italia a -0,6) l'auto è calata dell'8%; e nel 2009 per un Pil circa a -2% si prevede un tonfo delle vendite auto del 20.

Ancora più significativi e impressionanti i numeri assoluti: a fronte di vendite nell'Europa Occidentale di 17,2 milioni di vetture nel 2007, le ultime previsioni vedono un 2009 a 13,5 milioni – un passo indietro di vent'anni – con un lento recupero a 16,3 milioni che richiederà cinque anni.
La prima conseguenza è il calo della già bassa utilizzazione degli impianti, che passerà dal 75-80% del 2007 (calcolata su due turni giornalieri per cinque giorni alla settimana) al 50-60% nel 2009 e 2010. Ciò ripropone uno dei problemi strutturali del settore: la sovracapacità produttiva. Le fabbriche mondiali sono oggi in grado di produrre 94 milioni di vetture all'anno, almeno 40 milioni in più dell'assorbimento del mercato nei prossimi due anni.

La necessità di una razionalizzazione è evidente pensando che circa un terzo di questa capacità è installata in Europa, dove 250 impianti impiegano direttamente 2,3 milioni di persone; il 90% delle auto prodotte arriva da 170 di questi impianti, di proprietà dei 14 maggiori costruttori. Essi stanno drasticamente riducendo la produzione: temporaneamente con l'allungamento delle ferie, le settimane corte, i contratti di solidarietà, l'uscita del personale interinale e il blocco delle assunzioni; definitivamente incentivando l'esodo e chiudendo i siti.

Nell'ambito dell'attuale processo di "balcanizzazione" e di neoprotezionismo gli Stati si sono mossi in modo autonomo e, in molti casi, contraddittorio. Paesi come Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia hanno fatto propria la teoria economica keynesiana e hanno concesso già più di 25 miliardi di euro di aiuti, per lo più sotto forma di garanzie o prestiti a tasso agevolato, direttamente ai produttori nazionali per permettere loro di superare il periodo di crisi, ma con obiettivi molto diversi: nel caso della Francia l'impegno richiesto è non chiudere stabilimenti e non ridurre ulteriormente gli organici; nel caso degli Usa la richiesta è di una ristrutturazione che permetta di tornare al profitto e ripagare i debiti ai contribuenti. Altri Paesi come Svezia e Italia sembrano per ora più orientati a seguire la teorie economiche di Schumpeter, offrendo "eco-incentivi" temporanei ma lasciando essenzialmente che il mercato segua il suo corso. Spagna e Germania stanno seguendo un approccio ibrido con aiuti sia a produttori locali che ai consumatori.

In Europa si sono consolidati molti settori, come quello del l'acciaio negli anni 90, ma nel l'auto si sono avute pochissime chiusure: nell'ultimo decennio si contano sulle dita di una mano, e nessuna importante in Paesi come Francia, Germania o Spagna. Con i volumi previsti nei prossimi cinque anni, almeno una ventina di impianti risultano ridondanti e vanno ad appesantire i costi di struttura dei produttori in modo non più sostenibile, anche con l'aiuto di strumenti di flessibilizzazione dei costi del lavoro.
Infatti i costi di struttura del l'industria sono circa del 10%, ben superiori a quelli del lavoro diretto. Bisogna ridurli o diluirli su volumi maggiori per essere competitivi. Il problema va quindi affrontato consolidando i siti esistenti e completando alleanze e fusioni tra produttori europei, come discusso negli ultimi mesi. Le crisi come quella attuale, pur nella loro gravità, offrono l'opportunità di affrontare i problemi strutturali con la necessaria determinazione e rapidità. Gli aiuti temporanei, senza adeguate azioni di ristrutturazione, rischiano di mantenere i problemi e di portare alla ripresa senza la necessaria competitività nei costi, e quindi senza le risorse sufficienti a finanziare l'atteso rilancio.
* President AlixPartners



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