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Quell'inutile volante di Nuvolari

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Quell'inutile volante di Nuvolari

  • –di Giampiero Bottino

Una grande intuizione imprenditoriale, il gusto della sfida, la capacità di pensare in grande, la voglia di sognare. C'è una ricetta tutta italiana dietro al mito della Cisitalia, una meteora che ha segnato la storia dell'automobile, lasciando in eredità quella che per molti è una delle vetture più belle, se non la più bella in assoluto, che mai abbiano sfrecciato sulle strade del mondo: la 202. Compatta e sensuale, perfetta per semplicità e proporzioni, fu vestita da tutti i grandi maestri dello stile – da Vignale a Battista Pinin Farina – e declinata come coupé, cabriolet e auto da competizione.

È il simbolo dell'avventura di Piero Dusio, astigiano classe 1899 ma torinese d'adozione, capace di creare un impero economico nonostante "distrazioni" come l'amore per le belle donne e i tavoli verdi piuttosto che lo sport agonistico: gioca a calcio e corre in macchina con risultati lusinghieri. E nel frattempo fonda industrie tessili, banche, alberghi, fabbriche di macchine utensili e di materiali sportivi. Tanto che, si racconta negli anni 30, per spiegare Torino a un forestiero basta portarlo in piazza San Carlo e dirgli: «Di qua è tutto di Agnelli, di là tutto di Dusio». La guerra non intacca, semmai rafforza, il suo prestigio: dal 1942 è presidente della Juventus, con cui aveva disputato alcune partite.

Proprio allo Juventus Club di corso Agnelli (oggi sede del Circolo della stampa) matura nel 1944, in piena guerra, l'idea – folle e coraggiosa – di creare un'industria per produrre «una piccola serie – ebbe a scrivere lo stesso Dusio – di vetture monoposto veloci, leggere, maneggevoli». È il trionfo della voglia di pensare al dopo, di prepararsi alla ripresa che sboccerà quando le armi taceranno. Nasce la Cisitalia (Compagnie Industrie Sportive ITALIA) con un altro Piero, il celebre pilota Taruffi, come socio.

E l'altra metà di Torino collabora: Gianni Agnelli, coinvolto nella discussione "juventina", offre al neonato Stambecco rampante solo la meccanica dei modelli Fiat e il cervello del suo staff tecnico: Dante Giacosa, "papà" di tutte le Fiat – dalla Topolino alla 126 del 1972 – che hanno fatto grande il Lingotto, è autorizzato a dedicarsi part time alla nuova avventura. Alla quale Pinin Farina contribuisce con le propria maestria di carrozziere.

A guerra finita dallo stabilimento di corso Peschiera esce la monoposto D46 (D come Dusio, il numero è l'anno) che debutta trionfalmente alla Coppa Brezzi sul circuito del Valentino: vince lo stesso Dusio, passa alla storia Tazio Nuvolari che si ferma ai box, getta il volante che si è staccato agli allibiti meccanici e prosegue la gara manovrando direttamente il piantone dello sterzo. È un difetto tecnico che Giacosa risolve prima di tornare in Fiat a tempo pieno.

Gli subentra Giovanni Savonuzzi, il cui nome è legato alla soluzione aerodinamica della 202 Cmm (Coupé mille miglia) del 1947: una ricetta geniale, visto che dopo quarant'anni un test nella galleria del vento rileva un "modernissimo" Cx di 0,29. Inizia la stagione della 202, l'automobile più bella del mondo, protagonista su strada e in pista. La Cisitalia occupa più di mille addetti, in tre anni ha raggiunto la vetta. Ma ha anche imboccato il viale del tramonto: troppa carne al fuoco (e forse un mai confermato tentativo di scalata alla Fiat) costano cari a Dusio. La situazione finanziaria è sempre meno controllabile, la 202 non ottiene i risultati sperati: costa troppo e la rete di vendita è inadeguata. C'è poi il sogno proibito, folle e costoso: l'avventura in Formula 1, per la quale si avvale del rapporto anche "affettivo" con la famiglia Porsche, che realizza alcuni progetti, tra cui quello della 360 Grand Prix oggi esposta come una reliquia al museo Porsche. In cambio, Dusio versa senza batter ciglio 40 milioni di lire, perché sa che così Ferry Porsche potrà pagare la cauzione per il padre Ferdinand, detenuto in Francia a causa del contributo allo sforzo bellico nazista, e continuare lo sviluppo della prima 356, uscita di fabbrica nel 1948.

L'agonizzante Cisitalia è quindi decisiva – e la famiglia Porsche non lo ha mai negato – per la nascita della leggenda di Zuffenhausen. Dusio, sfiduciato, lascia al figlio Carlo nel 1949 le attività italiane (che proseguiranno faticosamente fino al 1964, imperniate soprattutto sull'elaborazione di vetture altrui) e si trasferisce in Argentina fondando la Autoar. È la prima fabbrica automobilistica locale, ma non dà i risultati sperati. Nonostante frequenti viaggi in Italia, il visionario imprenditore piemontese non lascia più Buenos Aires, dove muore l'8 novembre 1975.

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