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Ecco perché Magna è un gigante dai piedi d'argilla

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IL CASO

Ecco perché Magna è un gigante dai piedi d'argilla

  • –di Antonella Olivieri

Negli anni '50, quando poco più che ventenne si era trasferito dalla natìa Weiz in Austria a Montreal in Canada, Frank Stronach non possedeva altro se non la sua voglia di sfondare. «Il successo nella vita – ha confidato tempo fa in un'intervista – può essere misurato solo dal livello di felicità che si raggiunge. Ma lasciatemi dire che è molto più facile essere felici con un po' di soldi in tasca». E di quattrino, questo self-made man oggi 77enne che controlla con Magna un impero nella componentistica auto, ne ha fatto parecchio. Il suo reddito lo scorso anno è stato di 10.779.630 dollari. E non è il suo record personale. Perchè il 2008, soprattutto sul finire quando la crisi è precipitata, è stato duro per tutti.

I nodi sono venuti al pettine quest'anno. Dopo aver dedicato gli ultimi dieci anni ad affermarsi come allevatore di cavalli da corsa, gestore di ippodromi e di scommesse, il 5 marzo scorso è stato costretto a portare in Tribunale i libri della sua società Magna entertainment corporation (Mec), con la quale aveva conquistato la leadership nel Nord America. Diciamo che Stronach ci ha messo del suo, con i prestiti infragruppo concessi alla Mec a condizioni stratosferiche e tassi via via più elevati: Libor più 6,50% nel 2005 (con un minimo garantito del 9%), per finire, pochi mesi prima del default, a Libor più 12% (e 2% di commissioni in aggiunta) su un finanziamento da 125 milioni finalizzato al rimborso dei debiti contratti in precedenza con la capogruppo. Ma poco male, l'attività ippica fruttava meno di 600 milioni di dollari di ricavi e comunque Stronach, attraverso la sua immobiliare Magna international development (Mid), che controllava la società finita in bancarotta, si è già rimesso in moto per rilevare dal Chapter 11 le proprietà di Mec alle quali non voleva comunque rinunciare.

Ma la preoccupazione maggiore è che la sua macchina da soldi, la Magna international, un gruppo con un fatturato da 24 miliardi di dollari nella componentistica auto che fino al 2007 aveva conosciuto una crescita esponenziale, per la prima volta è finita in rosso. Con una perdita di 200 milioni di dollari nel primo trimestre del 2009 rispetto ai 207 milioni di utili dello stesso periodo precedente in presenza di ricavi quasi dimezzati, dai 6,6 miliardi dello scorso anno ai 3,6 di quest'anno.
L'industria dell'auto si consoliderà con sette grandi produttori mondiali, ma i 3 big di Detroit saranno sempre lì, aveva sentenziato Stronach una dozzina di anni fa. Improvvidamente, si potrebbe dire col senno di poi, perchè allora nessuno avrebbe immaginato che tutte le grandi case a stelle e strisce sarebbero implose in contemporanea. La fede cieca nel sogno americano, che tanto lo aveva gratificato, lo ha portato così a un passo falso che potrebbe rivelarsi fatale. Concentrarsi troppo su Detroit, la piazza che nel 2004 movimentava il 60% del giro d'affari di Magna, ma che ancora lo scorso anno rappresentava quasi la metà dei ricavi: 21% Gm, 14% Ford, 12,1% Chrysler.

Così, dopo essersi visto soffiare sotto il naso la Chrysler da Fiat, che non è tra i suoi principali clienti (nell'elenco c'è Bmw, che rappresenta il 19% dei ricavi, e c'è Daimler con il 10%, ma non la casa di Torino), si comprende perchè non sia rimasto ad aspettare con le mani in mano il bis su Opel. Nell'avventura, che replica un precedente tentativo proprio su Chrysler, imbarca anche l'amico Oleg Deripaska, uno dei paperoni della Confederazione russa che nella fattispecie è anche titolare del gruppo automobilistico Gaz. Nella cordata che ha firmato il memorandum of understanding per Opel, Gaz ha il ruolo di puro partner industriale, ma si porta dietro il suo principale finanziatore, la banca statale russa Sberbank. Disponibile, almeno temporaneamente, ad acquistare il 35% della casa tedesca – che le difficoltà di Gm hanno costretto a mettere in vendita – a fianco di Magna che rileverebbe il 20%. Si potrebbe discutere se per un fornitore la via della salvezza sia proprio quella di comprarsi il cliente. Ma ancora più incomprensibile è il motivo per cui Deripaska, che già lo scorso anno è rimasto scottato con Magna, si sia convinto ad esser di nuovo della partita.

Nel settembre 2007, infatti, Deripaska aveva versato nelle casse di Magna 1,54 miliardi di dollari attraverso un aumento di capitale riservato finanziato quasi interamente dalla banca francese Bnp-Paribas. Stronach gli cede non le azioni speciali da 300 voti l'una con cui, schermato da un trust, controlla al 66% il gruppo della componentistica, bensì le azioni dei comuni mortali che investono in Borsa e che portano ciascuna un solo diritto di voto, al prezzo unitario di 76,83 dollari. Ma dopo l'estate, come molti altri ciclici, il titolo è travolto dalla crisi, sprofondando fino al minimo di 19,36 dollari, toccato il 9 marzo scorso. I finanziatori però non aspettano tanto e già a inizio ottobre Deripaska è costretto a liquidare la quota rimettendoci, occhio e croce, qualcosa come 670 milioni di dollari.
I rapporti con Magna comunque non si interrompono. Non c'è evidenza che, in parallelo con il disimpegno dal gruppo della componentistica, sia stato dimesso anche il 50% che sulla base degli accordi del 2007 Deripaska avrebbe dovuto rilevare nella società di consulenza Stronach & Co. per 150 milioni di dollari. Consulenze che il patron di Magna fattura regolarmente anche al suo gruppo industriale: 27 milioni di dollari nel 2006, 40 nel 2007 e 10 ancora nel 2008.

Quanto all'offerta Opel, Deripaska avrebbe avuto qualche difficoltà logistica a trattare con il vertice Gm, dal momento che due anni fa, per motivi imprecisati, le autorità federali gli hanno revocato il visto per gli Usa. Ma l'oligarca russo ha mille risorse e, per superare l'impasse, non ha esitato ad assumere direttamente in Gaz il direttore degli acquisti di Gm: Bo Andersson, per una strana coincidenza anche lui svedese come Erik Eberhardson che aveva spedito a rappresentarlo nel board di Magna. La cordata austro-russo-canadese è ancora in pista su Opel, ma il termine del 15 luglio che si era prefissata per apporre la firma finale è trascorso invano. E nel frattempo si è fatto avanti il fondo di private equity Usa Ripplewood tramite la sua holding belga Rhj.

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