Il fatturato della componentistica autoveicolare italiana si contrae e perde terreno sul fronte dell'export. Sotto i colpi di un mercato europeo in calo per il quinto anno consecutivo e per effetto della contrazione produttiva di casa. «Nell'arco di cinque anni – spiega Mauro Ferrari, presidente del Gruppo Componenti Anfia – la produzione di auto e veicoli commerciali in Italia si è sostanzialmente dimezzata, da un milione e 284mila veicoli nel 2007 a 671mila nel 2012. Numeri che non avevamo mai visto prima e che per il solo 2012 segnano una contrazione del 15%». Il consueto appuntamento con l'Osservatorio sulla filiera autoveicolare della Camera di commercio di Torino, Chieti e Modena, in collaborazione con l'Associazione dei produttori – realizzato da Step – conferma per l'anno scorso un calo dei fatturati del 9,2%, a quasi 38 miliardi, percentuale che scende al 5,2% per il solo Piemonte, e 13mila addetti persi in tutta Italia (4mila nel solo Piemonte) e l'export in calo del 5,3 per cento. Con un indicatore di "dipendenza" da Fiat dei fornitori sceso al 40,7% in Italia (al 46,4% in Piemonte, era al 50,6% l'anno prima) e una propensione all'export che si attesta sul 50% del fatturato.
Solo un terzo delle aziende dichiarano fatturati in crescita e peggiora nei primi mesi del 2013 il saldo tra chi cresce e chi registra perdite. «In condizioni di mercato come quelle attuali, le nostre imprese stanno resistendo» aggiunge Ferrari. «Ma l'Italia non è un paese competitivo, serve allora un piano straordinario che stiamo definendo con il Governo per attrarre investimenti nel nostro paese.
La strada dell'internazionalizzazione è, per i nostri componentisti, una strada obbligata». Tra le tendenze emerse dall'ultimo Osservatorio, quella relativa agli investimenti produttivi all'estero che in questa fase coinvolgono non solo i fornitori di primo livello ma anche gli specialisti, i cosiddetti Tier 2. «Nel corso del 2012 – spiega Beppe Russo, curatore della ricerca insieme a Filippo Chiesa – il numero di stabilimenti aperti all'estero è salito a 39». Si può parlare di rischio delocalizzazione? Secondo Ferrari no: «Non si tratta di andare a realizzare produzioni che facciamo in Italia in paesi dove costa meno il lavoro, si tratta di andare a produrre laddove c'è mercato, in paesi che non importano. Il Brasile è un caso emblematico, lì i produttori di primo livello sono a caccia di fornitori e specialisti che garantiscano i nostri livelli qualitativi».
Per Guido Bolatto, segretario generale della Cdc di Torino, «i mercati emergenti e la qualità sono le chiavi per affrontare la crisi profonda dell'Italia e del merrcato dell'auto europeo. Tre produttori su 5 raggiungono quei mercati, con un interesse crescente nei confronti delle aree del Mediterraneo e del Nord Africa. In un contesto mondiale dove sia la produzione che le immatricolazioni, comunque, sono cresciute del 5% nel 2012, a quota 81,7 milioni, 10 milioni in più rispetto al 2007, anno che ha preceduto la crisi».
Un mercato strutturalmente spostato a Est, dove ormai un veicolo su due è assemblato in Asia. Mettendo a confronto la produzione media del periodo 2000-2008 e 2012, gli equilibri sono radicalmente cambiati, con la Cina schizzatata a quasi 14 milioni di autoveicoli prodotti e l'Europa scesa da quota 32 a quota 24 per cento sulla produzione mondiale.
Variazioni fatturato della filiera
Toccato il fondo si aspetta la risalita
In Europa ripresa con il freno tirato
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