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L'automobile cattedrale gotica del Novecento

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AUTO & CULTURA

L'automobile cattedrale gotica del Novecento

  • –di Stefano Biolchini

«Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un'automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo.... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia». Correva il 20 febbraio del 1909, e uso del maschile a parte, a colpire nella definizione apparsa con il marinettiano Manifesto Futurista su Le Figaro, è tutta la potenza di un binomio che da lì in poi si sarebbe rivelato assai prolifico. E che non è da declinarsi nel più conosciuto donne motori – anche se pure qui ci sarebbe di che parlare, visto il ruolo non indifferente che vent'anni più tardi ebbe Tamara de Lempicka nel ritrarsi alla guida di una sfavillante Bugatti verde smeraldo – bensì fra artisti e autovetture. Perché da lì in poi la rivoluzione sarà financo "antropologica": un nuovo modo si imporrà agli artisti di guardare al paesaggio, alle città e all'uomo, con le case automobilistiche come novelli e fiorenti committenti. Il tutto nel segno di un tempo più rarefatto e veloce. L'attimo fuggente della corsa, che annienta il paesaggio nelle linee e riduce la tavolozza cromatica, costituirà con "Velocità d'automobile" di Giacomo Balla, 1913, l'esempio principe del nuovo sentire e guardare al reale.

Da lì in poi il secolo passato sarebbe divenuto "breve " e "veloce", e il suo racconto sarebbe stato contrassegnato dalle immagini simbolo di molte auto entrate a pieno titolo nella grande Storia. E se Marinetti parlava di Nike, Roland Barthes per la regina delle automobili, la Ds della Citroèn – del mai rimpianto abbastanza Flaminio Bertoni, che gioca non a caso con la parola francese "Déesse" (dea) – descrive le automobili come equivalente delle grandi cattedrali gotiche. "Suprema creazione di un'epoca, concepita passionalmente da artisti sconosciuti, consumata nella sua immagine, se non nell'uso, da un popolo intero che con lei si appropria di un oggetto perfettamente magico". Non c'è dunque di che stupirsi che Andy Wharol, il maggior interprete della serialità artistica, la abbia avuta al centro delle sue interpretazioni pop per decine di volte . Il suo lavoro per Daimler riguarderà numerose auto della casa tedesca, ponendo in risalto il ruolo attivo di moderni mecenati svolto attivamente dalle maggiori case automobilistiche. E d'altronde è proprio un'auto, e precisamente la Limousine decappottabile su cui viaggiava John Fitzgerald Kennedy, una delle icone più rappresentative gli anni '60.

È degli stessi anni l'interpretazione di Mario Schifano "Incidente", con al centro un Maggiolino color arancio. Nel 1979 con l'olio e tempera "Sfascio di automobili" Renato Guttuso guarda alle autovetture da tutt'altra angolazione; e ancora, tra le interpretazioni più recenti, segnaliamo il ritratto sensuale che Robert Longo ha fatto nel 2012 alla Cadillac, mentre sul versante italiano si distinguono le giustapposizioni ironiche di Ugo Nespolo. Certo parlare di auto nell'arte non può prescindere dall'attività di veri e propri precursori che ebbero pubblicitari e disegnatori del calibro di Achille Beltrame: porta la sua firma, con in bella mostra la lussuosa Gräf & Stift Bois de Boulogne, l'interpretazione che sulla Domenica del Corriere fece dell'attentato a Sarajevo all'Arciduca Francesco Ferdinando d'Austria e a sua moglie Sophie . Ed è sempre un'auto distrutta a rappresentare la storia tragica dell'alluvione di Firenze: la Citroèn DS degli archivi Alinari. E che dire della R4 di Via Caetani: all'immagine del cofano di quella Renault Rossa in cui fu rinvenuto il corpo di Aldo Moro si lega invariabilmente uno dei momenti più bui della recente storia italiana.

Da ultimo un suggerimento: è in libreria, edito da Einaudi, HHhH: è uno dei migliori romanzi di questi ultimi anni e le descrizioni della Mercedes Benz 320 Cabriolet B dell'attentato del 27 maggio 1942 a Reinhard Heydrich sono tra le cose più belle del libro. Perché come ha scritto il sociologo Marshall McLuhan "l'automobile è diventata un articolo di vestiario senza il quale ci sentiamo nudi, incerti, incompleti". Incompleti per l'appunto. Eravamo partiti dalla bellezza nuova dei Futuristi e questo è l'arrivo: perché le auto, con buona pace anche di chi non le ama, hanno fornito a chiunque un'altra angolazione da cui guardare al mondo. E agli artisti e pensatori tutto ciò non poteva sfuggire, segno evidente del troppo riduttivo adagio "...gioie e dolori".

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