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Auto connesse: lo sviluppo passa dalla condivisione dei dati tra le case

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Auto connesse: lo sviluppo passa dalla condivisione dei dati tra le case

Gli americani non hanno dubbi: per affermarsi nella mobilità del futuro, i Costruttori devono smettere di tenere segreti i propri dati
Entro qualche anno (quanti di preciso, ancora, nessuno lo sa dire) l'automobile diventerà parte dell'Internet of Things, l'Internet delle cose, ovvero la connessione al web di tutti, o quasi, gli oggetti che ci circondano, persino quelli più banali e di uso più comune. Accadrà dunque di trovare il cancello di casa che si sta aprendo quando stiamo arrivando, che l'auto (elettrica) vada a posizionarsi da sola sulla piastra di ricarica a induzione, che pre-riscaldi l'abitacolo in inverno e lo rinfreschi in estate ancor prima che noi saliamo a bordo: consultando la nostra rubrica saprà già, infatti, a che ora ci sposteremo.

Il che probabilmente non piacerà a tutti i consumatori, ma di sicuro entusiasma le aziende che in quel campo lavorano. Perché? Semplice. Secondo gli analisti, per i fornitori di servizi ci sarà una crescita del 30% del volume d'affari in meno di quattro anni. Una prospettiva meravigliosa, che non a caso sta attraendo attori nuovi nel settore: proprio per questo, però, non si è ancora capito quali saranno le aziende che si affermeranno nella sfida globale, chi ci guadagnerà da questo nuovo business, né come tutto ciò cambierà gli equilibri nel mondo dell'auto. Di una cosa, però, Hpe(divisione “business oriented” di Hewlett Packard nata nel 2015) pare certa al 100%: le Case automobilistiche hanno il “coltello dalla parte del manico”, ma devono stare attente a non farselo sfilare arroccandosi nella difesa dei dati che le proprie auto già oggi possono raccogliere e, volendo, condividere.


Le nostre vetture sono infatti vere e proprie “centrali” di dati. In che senso? Basti pensare al numero di sensori di cui sono dotate e di quante informazioni - di ogni genere - questi siano in grado di ricevere, captare ed elaborare, dal meteo alle condizioni della strada, passando per la qualità dell'aria, per il traffico, etc.. Si parla di qualcosa come 50-150 (variabili in base al genere di automobile) sistemi di controllo digitale presenti in ogni veicolo. Secondo HPE, se queste informazioni non fossero custodite gelosamente come oggi fanno le Case automobilistiche, ci sarebbero vantaggi per tutti: per loro stesse prima di tutto, che potrebbero vendere a terze parti tutte queste informazioni. Per gli automobilisti, che avrebbero accesso a servizi ben più evoluti e per altre aziende, che potrebbero integrarsi nel business della mobilità.


Da parte loro, le Case automobilistiche (o almeno la maggior parte di esse) rispondono che la “gelosia” nei confronti dei dati risponde a una ben precisa difesa dei propri clienti: il Gruppo Volkswagen, per esempio, non vuole che le sue auto diventino uno strumento di pubblicità mirata. La paura dei tedeschi è che se dovessero concedere l'accesso a certe informazioni, aziende terze potrebbero “tempestare” l'automobilista con pubblicità mirate in base all'ora del giorno, alla posizione del veicolo, alla destinazione impostata, etc.. Un'ipotesi piuttosto inquietante, effettivamente: finché questo accade sui nostri smartphone e laptop, ok, ma mentre si guida è bene ridurre al minimo le distrazioni. Quanto poi all'integrazione dei servizi va detto invece che già molto è stato fatto e moltissimo si farà: già oggi i sistemi di navigazione di alcuni marchi - Audi per esempio - si basano su mappe di Google, alla quale forniscono anche informazioni sul traffico che vanno poi a beneficio di tutti gli altri automobilisti.
Oppure BMW: al CES di Las Vegas di inizio 2016 ha mostrato quello che ha in cantiere per i prossimi anni (quanti di preciso è difficile dirlo, anche in questo caso, ma la strada è segnata) in tema di Internet of Things e, in base alla sua visione, l'automobile diventerà parte di una rete fittissima di interazione tra oggetti collegati fra loro. Per poterlo fare, ovviamente, la Casa tedesca ha messo in conto di cedere parte dei propri dati; solo, si sta prendendo il tempo di capire a chi e come, per trarne legittimamente profitto. Ci sono poi esempi un po' diversi, ma che dimostrano comunque l'attenzione delle aziende dell'auto per un mondo, quello della mobilità, che sta cambiando a velocità impressionante. Daimler ha già diversificato da tempo la propria attività fornendo servizi di ogni genere; per restare vicini al campo della mobilità, non solo ha lanciato il primo car sharing che funziona a livello globale - car2go - ma ha anche rilevato il controllo di MyTaxi, l'app per la prenotazione delle corse, la valutazione dei tassisti, il pagamento con carta di credito, etc., tutto in uno: si tratta di servizi che in quanto a condivisione di informazioni non sono secondi a nessuno. Non è finita, perché General Motors ha pianificato un investimento di 500 milioni di dollari in Lyft, azienda specializzata nel ride sharing e con la quale, nel lungo termine, l'obiettivo è fornire un servizio di taxi a guida autonoma. Ancora più recente è l'accordo tra FCA e Google per la realizzazione dell'auto a guida autonoma: in questo caso la cessione di dati è praticamente totale. Di esempi ce ne sono anche altri, ma già quelli citati fanno capire come in realtà anche le “vecchie” Case auto si stiano muovendo. Ognuna a proprio modo, questo sì, ma nessuna di loro ha intenzione di stare a guardare passivamente il mondo che cambia.

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