Motori24

Auto a Km 0, ecco come cambia il mercato e l'industria

  • Abbonati
  • Accedi
analisi

Auto a Km 0, ecco come cambia il mercato e l'industria

  • – di Pier Luigi del Viscovo

Nelle prossime due/tre settimane di ferie in spiaggia potrà capitare un giorno di pioggia: pazienza, è comunque estate. Ma se ci fossero 15 giorni di pioggia, freddo e neve, allora non c'è pazienza che tenga! Significa che qualcosa è cambiato.
Per i km0 è lo stesso. Finché pesavano per il 6/7% delle vendite, passi. Se in alcuni mesi superano l'8%, va ancora bene. Ma quando per un intero anno, il 2016, hanno rappresentato il 13% delle immatricolazioni (incluso le demo, d'accordo) e quest'anno si avviano a sfondare il 15%, qualche domanda forse è il caso di farsela. Perché magari qualcosa sta cambiando ed è meglio saperlo prima che dopo.
In Europa, a differenza dell'America, le macchine si vendono col sistema detto ‘built-to-order': ordina un'auto in concessionaria, dai un anticipo, e noi te la costruiamo e te la consegniamo nel giro di alcune settimane. Questo sistema ha delle declinazioni industriali, di marketing e finanziarie. La fabbrica può ottimizzare il magazzino dei componenti, il cliente può scegliere allestimenti e optional, il concessionario può lavorare su catalogo, con relativamente poco stock.
Ma adesso le fabbriche hanno bisogno più di una saturazione degli impianti costante e garantita che non di un magazzino leggero. Le promozioni sugli ordini (rottamazione, incentivi, tasso zero, supervalutazione della permuta e via discorrendo) non sono sufficienti a portare a casa il risultato, nei tempi dovuti, anche perché il concessionario, che prima giocava in una sola squadra, oggi gioca con due/tre squadre diverse e dunque riesce a far quadrare i suoi conti anche se il singolo brand arranca. È il prezzo del passaggio al dealer multi-marca, che poggia il proprio business sul cliente. Così, quando vedi che mancano pochi giorni e sei a metà del tuo obiettivo, rompi il salvadanaio e cominci a telefonare, per immatricolare auto da vendere poi a km0.
Finora, sembrava che fosse una tattica, per aggiustare il risultato del mese, poi del trimestre e infine del semestre. Tanto che ci si chiedeva: ma quanti salvadanai da rompere hanno i costruttori? Forse però c'è un altro punto di vista. Forse non è tattica ma strategia. Forse c'è l'intenzione di affiancare al ‘built-to-order' l'altro sistema, quello dello stock, quello push, che funziona più o meno così: io fabbrico comunque il quantitativo minimo di auto, necessario a tenere la saturazione degli impianti sopra il 75/80% e avere così un costo variabile industriale dentro i limiti di budget. Poi le spingo sul mercato attraverso forti sconti: move the metal. Non è complicato, ma quali sarebbero le implicazioni, se questa strategia dovesse crescere ancora?
Per il cliente, ci sarebbero solo vantaggi. Chi volesse comunque ordinare la sua auto, con allestimento, colori, interni e option personalizzati, potrebbe continuare a farlo, sapendo però che i tempi di consegna potrebbero allungarsi ulteriormente (vedremo perché). Chi invece fosse disponibile ad approfittare di un'auto in pronta consegna e uno sconto allettante, potrebbe scegliere tra quelle disponibili nello stock del concessionario. Che in questo caso dovrà essere il più ampio possibile, perché l'assortimento è una delle principali leve di creazione di valore per il distributore. Se la scelta fosse tra pochi pezzi, andrei a vedere se da un altro trovo qualcosa di diverso.
Questo sarebbe il punto di cambiamento maggiore per il sistema distributivo: il concessionario con maggior capacità finanziaria avrebbe il magazzino più ricco e dunque più franchise di clienti. La selezione darwiniana verrebbe di conseguenza. A quel punto, gli investimenti che oggi sono destinati a strutture improduttive (arredi, ambienti e standard vari) sarebbero dirottati sul ferro da tenere a stock.
Per i costruttori, sono ipotizzabili altri cambiamenti significativi. Innanzitutto, la produzione per lo stock verrebbe concentrata su modelli, allestimenti, colori e optional più richiesti, tanto da rendere sempre più difficile evadere ordini particolari in tempi brevi. In secondo luogo, la spesa di marketing verrebbe spostata dall'ordine alla vendita: quando il livello dello stock del dealer diventa alto, sarà opportuno spingere le vendite (il sell-out) con sconti aggiuntivi, altrimenti quel dealer rallenta le immatricolazioni. Apparentemente, non c'è una grande differenza tra spendere 1.000 euro per regalare un navigatore su un ordine e spendere 1.000 euro per vendere l'auto sul piazzale. In realtà, questo è l'aspetto probabilmente più doloroso dell'intero sistema. Quando si spendono soldi per lo zuccherino, che fa sedere il cliente di fronte al venditore per ordinare la macchina, c'è un grande spazio per recuperare quei soldi attraverso la vendita di option e allestimenti che danno margine. Ma quando l'auto è già lì, sul piazzale, fatta e finita (e un po' impolverata), lo spazio per le vendite aggiuntive si riduce al minimo. Infine, ci sarebbe la questione degli option innovativi e tecnologici, su cui soprattutto i costruttori premium poggiano la competizione e i margini. Immatricolare auto con nuovi e costosi dispositivi potrebbe essere sconsigliabile perché rischioso. Questo danneggerebbe in prima battuta i costruttori premium, che fanno delle nuove soluzioni il loro cavallo di battaglia, ma nel medio-lungo periodo tutti gli investimenti in innovazioni ne risulterebbero scoraggiati.
Lo scenario descritto è sicuramente incompleto e forse anche immaginario. Magari tutti questi km0 sono solo una tattica, per quanto costosa e un po' fuori controllo. Però la realtà riporta che di clienti impazienti e a caccia di affari ce ne sono sempre di più, che le concessionarie tendono a diventare più grandi e più strutturate, anche finanziariamente, e che le fabbriche devono ridurre al minimo le oscillazioni. Built-to-order? Anche no, grazie

© Riproduzione riservata