Dodici cilindri, nella storia dell’auto, sono stati prerogativa di pochissime automobili, normalmente di classe eccelsa come, in ordine cronologico e per sommi capi, le Packard Twelve, le Lincoln Zephir, le Rolls-Royce Phantom III e, fin da subito dopo l’ultima guerra, le Ferrari: tutte fino al 1973 e poi solo le top di gamma. Si intromise poi la Jaguar, a partire dal 1971, con un motore a carburatori da 5,3 litri e dalla morbidezza leggendaria quasi quanto la sua sete, montato sia sulla E Type sia sulla berlina XJ; e, si scoprì in seguito che, mentre la Casa britannica provvedeva via via al miglioramento di questo straordinario motore, attraverso l’adozione dell’alimentazione ad iniezione e non solo, a Monaco di Baviera ci si apprestava a dire, sul tema, la parola definitiva.
Gli ingegneri della BMW, resistettero, infatti, alla tentazione della condivisione spinta dei componenti con i loro sei cilindri, unici pezzi presi dal magazzino ricambi le due testate prese dal 2,5 litri montato su Serie 3 e 5, optando per un’esclusiva costruzione interamente in lega leggera che ne contenne il peso a valori decisamente bassi per un’unità da cinque litri così frazionata e gestita da due centraline Bosch Motronic indipendenti tra di loro. Con trecento cavalli di potenza dichiarata, esso è in grado di spostare il quadro prestazionale della Serie 7 E32, dalla piena soddisfazione assicurata dal sei in linea 3,5 litri della 735i, al nirvana automobilistico, propellendo la pesante berlina fino ai 100 km/h in meno di sette secondi e necessitando di un limitatore elettronico onde evitare di superare di slancio i 250 km/h. Il tutto gestito da un cambio automatico a quattro marce con tre programmi, tra i quali uno sportivo, preselezionabili; peccato non sia mai stato disponibile il cambio manuale montato sulla M5, incapace come era di gestire i 450 Nm di coppia motrice espressi da questo poderoso motore.
Con tanto ben di Dio messo a disposizione del fortunato proprietario, la BMW provvide anche, molto opportunamente, a differenziare la 750i, questo il suo nome, dalle sorelle minori anche sul piano estetico con alcune modifiche molto discrete ma di sicura efficacia: mascherina allargata, cerchi in lega specifici e terminali di scarico rettangolari a consolazione dei tanti sorpassati. Internamente, un abitacolo che già era ai vertici mondiali per grado di finitura, ergonomia, e stile, venne esaltato, anche sul piano del lusso, dalla pelle totale offerta di serie e da un sapiente dosaggio di radica su plancia e portiere; parlando di lusso, occorre poi aggiungere lo scatto verso l’irragiungibilità, rappresentato dalla versione Highline del 1989, disponibile solo nella versione iL a passo lungo, ove la pelle diventa di bufalo, il legno riveste anche i tavolinetti per i posti posteriori ed ogni sorta di dotazione viene messa a disposizione dei viaggiatori: dal frigo bar al radiotelefono, dai comandi posteriori per climatizzatore e stereo alle tendine azionabili elettricamente.
Prodotta fino al 1994, le 750i ed iL E32 ebbero un enorme successo che è poi continuato con le versioni a dodici cilindri delle serie successive dell’ammiraglia BMW, aumentando di cilindrata fino a 5,4 litri già con la E38 del 1994 per poi approdare ai sei litri con la E65 del 2001; nel frattempo l’unità da 5.400 cc andò ad equipaggiare la Rolls-Royce Silver Seraph del 1998, un’araba fenice di qualità esoterica costruita per soli quattro anni nel periodo in cui la BMW, da semplice fornitrice di parti meccaniche, divenne proprietaria del Marchio: ci sembra una scelta, questa degli incontentabili ingegneri di Crewe, una certificazione di eccellenza per un motore con ben pochi riscontri.
Tornando alle BMW V12 che oggi possono essere considerate storiche, ovvero la E32 e la E38, sarebbe molto bello potersene assicurare una per i propri spostamenti a lungo raggio; usiamo il condizionale perché la stragrande maggioranza degli esemplari che si trovano in vendita sono in condizioni pietose e, considerati i prezzi dei ricambi, assolutamente sconsigliabili anche in regalo. Qualora, tuttavia, ci si imbattesse in quella che non ha superato i duecentomila tagliandati, magari a passo corto e dopo una doverosa chiacchierata con il capo officina che l’ha avuta in cura, sarebbe opportuno non farsela scappare neppure se vi chiedessero sette/ottomila euro; certamente non un’auto da raduni, altrettanto certamente non un enorme contributo alla vostra immagine, ma un piacere di guida che, su una berlina, ha pochissimi rivali e la gioia continua di compiacersi della qualità costruttiva del vostro incrociatore stradale, figlio di un’epoca breve ed irripetibile quando le auto avevano già tutto il desiderabile, ma ancora non avevano virato verso un’elettronica troppo invadente e, spesso, fine a sé stessa.
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