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La scala di accesso al tetto resta comune

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La scala di accesso al tetto resta comune

  • –Saverio Fossati

La scala per raggiungere il tetto del condominio non si tocca. Anche se gli spazi comuni usati per l’accesso sono ormai in uso esclusivo a un condòmino.

Il caso è abbastanza frequente, soprattutto in città: la fame di terrazzi e sottotetti ha portato in molti casi all’acquisto di quelli che erano beni comuni, o alla loro concessione in uso esclusivo a chi possiede l’appartamento dell’ultimo piano.

In molte situazioni, però, l’accesso al tetto è assicurato da una scala che, partendo dall’ultimo piano (di regola dal pianerottolo) esce sul tetto o sbuca su un terrazzo comune da cui si accede al tetto con un’ulteriore scala. Quando il terrazzo o il lastrico solare vengono però ceduti in esclusiva, spesso l’idea che questi accessi vengano usati impropriamente dai condòmini, attraversando uno spazio che ormai si considera di proprietà, spinge i concessionari del diritto a rendere difficile o addirittura impossibile l’accesso. Si tratta, ovviamente, di un comportamento illegittimo, di cui la Cassazione si è occupata da ultimo con la sentenza 40/2015, depositata ieri.

Nel caso affrontato dalla Corte la proprietaria dell’unità immobiliare all’ultimo piano aveva anche un terrazzo in uso esclusivo e la mansarda con una servitù di accesso a favore del condominio per la manutenzione del tetto. Al terrazzo si accedeva con una scala condominiale. La condòmina, però, inglobava il volume scala nel suo appartamento, installando una scaletta verticale disagevole e pericolosa.

Il condominio inziava un contenzioso che lo vedeva vittorioso in primo e secondo grado ma la condòmina non si arrendeva. La Cassazione le ha dato a sua volta torto, affermando che i motivi da lei dedotti sono infondati: «poiché nella specie l’area in contestazione riguarda parte del vano scala e gli ultimi tre gradini della originaria scala in legno che collegava, assieme al pianerottolo, il vano alla porta d’accesso al terrazzo condominale, vale, ai fini della prova della proprietà comune in capo ai condòmini, la norma dell’articolo 1117 del Codice civile, relativa alle parti dell’edificio che, in difetto di prova contraria (da fornirsi a opera del condòmino) debbono presumersi comuni». E dato che dai titoli non era emerso un diritto ma al contrario l’inglobamento era solo una «mera circostanza di fatto», la Cassazione ha confermato la condanna della condòmina a ripristinare a sue spese la «situazione dei luoghi quale esistente prima dei lavori di ristrutturazione entro 120 giorni »; in mancanza, veniva autorizzato il condominio a provvedere e ad addebitare i costi alla condòmina inadempiente.

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