Norme & Tributi

Le novità del fisco che cambia

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Fisco & Contabilità

Le novità del fisco che cambia

Le nuove regole per il ravvedimento operoso. La rivoluzione della dichiarazione precompilata e la certificazione unica. La voluntary disclosure sui capitali. Il restyling del regime per i contribuenti di minori dimensioni. E, ancora, le prospettive di riordino dei reati tributari e la codificazione dell’abuso del diritto.

L’edizione 2015 di Telefisco coglie la riforma fiscale “a metà del guado” e chiama a raccolta i professionisti per fare il punto sulle modifiche già operative, su quelle in arrivo e su quelle ancora in corso di definizione. Senza dimenticare le altre semplificazioni contenute nel decreto in vigore dallo scorso 13 dicembre, dalla disciplina per le comunicazioni con gli operatori dei Paesi black list a quelle delle lettere d’intento, passando per l’accertamento nei confronti delle società estinte.

Il convegno annuale de L’Esperto Risponde-Il Sole 24 Ore arriva quest’anno alla 24esima edizione, e mette sotto la lente “il fisco che cambia”. Anche quest’anno, nel corso della giornata – oltre alle relazioni degli esperti del Sole 24 Ore – ci saranno le risposte dell’agenzia delle Entrate alle domande del pubblico e degli esperti.

Il pubblico potrà inviare i propri quesiti via email durante il convegno (all’indirizzo di posta elettronica direttatelefisco@ilsole24ore.com) o collegandosi al Forum online (www.ilsole24ore.com/forumtelefisco) fino alle 18 di venerdì 30 gennaio.

Le risposte degli esperti e dei funzionari dell’agenzia delle Entrate saranno pubblicate nei prossimi giorni sul Sole 24 Ore e, a seguire, direttamente nella sezione del sito dedicata a Telefisco. Inoltre, il pubblico presente nelle 13 sedi principali del convegno potrà rivolgersi anche agli esperti in sala, mentre – anche dopo la chiusura dell’evento – il filo diretto con gli esperti del Sole 24 Ore prosegue sul sito dell’Esperto risponde (www.ilsole24ore.com/espertorisponde).

È possibile partecipare a Telefisco 2015 anche via internet: l’evento può essere acquistato a 16,99 euro (Iva inclusa) sul sito www.ilsole24ore.com/telefisco e il prezzo comprende la diretta streaming dell’evento, la registrazione, le dispense e la possibilità di maturare crediti formativi.Il pacchetto completo di Telefisco 2015 è incluso nell’abbonamento Business Class, insieme agli altri contenuti extra della formula.

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www.ilsole24ore.com/telefisco

Il sito di Telefisco 2015

con il programma e il Forum

Ore 9.15

Apertura lavori del mattino

DONATELLA TREU

Amministratore delegato del Gruppo 24 Ore

ROBERTO NAPOLETANO

Direttore del Sole 24 Ore

ROSSELLA ORLANDI

Direttore dell’agenzia delle Entrate

GERARDO LONGOBARDI

Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili

Ore 9.45

RAFFAELE RIZZARDI

Dalle semplificazioni al reverse charge le novità dell’Iva 2015

RENATO PORTALE

L’Iva sull’e-commerce
e la fattura elettronica

GIAN PAOLO TOSONI

Il nuovo regime dei minimi

LUCA GAIANI

Irap, Ace, incentivi, brevetti e altre novità per le imprese

ore 12.15

FRANCO ROSCINI VITALI

Il bilancio 2014 alla luce dei nuovi principi Oic

MARCO PIAZZA

Le caratteristiche della voluntary disclosure,

i periodi, le imposte, le sanzioni,

le coperture penali

ROBERTO LUGANO

La procedura della voluntary disclosure, il ruolo del commercialista, la sanatoria nazionale

Ore 13.30

Chiusura lavori del mattino

Ore 14.30

Apertura lavori del pomeriggio

GIAN PAOLO RANOCCHI

Le semplificazioni fiscali per le imposte sui redditi, il nuovo Cud e la dichiarazione precompilata

BENEDETTO SANTACROCE

Ravvedimento operoso, integrativa e istituti deflattivi: nuove regole e strategie nel rapporto

tra fisco e contribuente

ANTONIO IORIO

L’autoriciclaggio, le società estinte e le prospettive del riordino dei reati tributari

PRIMO CEPPELLINI

L’applicazione attuale della norma anti elusiva e le prospettive di riforma

DARIO DEOTTO

Le rettifiche del fisco su abuso del diritto e anti economicità: l’esame dei casi concreti

ANGELO BUSANI

Le novità del 2015 sulla fiscalità immobiliare

Ore 17.30

Chiusura lavori

Gli esperti del Sole 24 Ore nelle 13 sedi principali di Telefisco 2015

Ancona, via Ghislieri 6 (Jesi). Riccardo Giorgetti

Bari, via Cardinale A. Ciasca, 27. Pierpaolo Ceroli

Bologna, Piazza Costituzione, 4. Giorgio Gavelli

Cagliari, viale Diaz, 221. Nicola Forte

Firenze, via G.Agnelli, 33. Massimo Sirri

Genova, via Pionieri e Aviatori d’Italia, 44. Michele Brusaterra

Milano, via Washington, 66. Matteo Balzanelli

Napoli, v.le Kennedy, 54. Alessandro Sacrestano

Padova, via Forcellini, 170/A. Luca De Stefani

Palermo, v. Montepellegrino, 62. Tonino Morina

Roma, viale U.Tupini, 65. Rosanna Acierno

Torino, corso V. Emanuele II, 54. Barbara Zanardi

Vicenza, via dell’Oreficeria, 16. Laura Ambrosi

RAFFAELE RIZZARDI

1. SEMPLIFICAZIONI, REVERSE CHARGE E IVA 2015

Sviste sul reverse charge ancora in attesa di certezze

Secondo la Corte Ue

non si può punire

con la multa del 200%

un errore formale

La legge di stabilità 2015 aumenta le situazioni in cui le modalità di fatturazione passano da quelle ordinarie al sistema del reverse charge. La concreta attuazione di queste disposizioni richiede non pochi chiarimenti, di cui alcuni di natura sistematica. Ad esempio, quali conseguenze subisce il contribuente che non integra la fattura in reversecharge, nei casi in cui l’imposta avrebbe potuto essere integralmente detratta (quindi con danno erariale pari a zero)? Altri chiarimenti, invece, sono specifici del nuovo provvedimento. Ad esempio, cosa si deve intendere con l’espressione attività di «completamento» di un edificio, termine che non ricorre tanto nella direttiva comunitaria quanto nella legislazione nazionale in tema di interventi edilizi?

L’Iva in reverse charge vuole contrastare l’evasione di chi emette la fattura con la rivalsa dell’imposta, riscuotendo l’imposta dal cliente senza versarla all’erario, e anzi guardandosi bene dal lasciare traccia dell’operazione. Il termine inglese per questi soggetti è quello di missing trader, cioè di venditore che scompare al momento di adempiere l’obbligo sostanziale di far avere il tributo all’erario.

Ma nella legge di stabilità il passaggio al reverse charge ha un palese significato di «ulteriore introito» per il fisco. Passi per le prestazioni di servizi ad alto valore aggiunto, come quelle di pulizia, che potrebbero rappresentare uno stimolo all’appropriazione dell’imposta addebitata al cliente, ma il rischio di evasione praticamente non esiste nelle operazioni con rilevante contenuto di acquisti a Iva detraibile, caso classico il nuovo reverse per le forniture alla grande distribuzione. Qui non c’è nemmeno un rischio reputazionale per il fornitore, in quanto questa tipologia di controparti viene accuratamente selezionata. E che si tratti di una norma di gettito lo si vede dalla previsione secondo cui se l’Unione europea non autorizzerà la disposizione (che è una deroga alle regole della direttiva) lo Stato italiano metterà le mani nel portafoglio di chi rifornisce il proprio veicolo, aumentando le accise sui carburanti.

Nel frattempo l’amministrazione finanziaria deve chiarire il regime sanzionatorio a carico chi omettesse – per pura dimenticanza – di integrare le fatture in reverse charge con l’Iva totalmente detraibile. Non è bastata la sentenza Ecotrade del 2008: la Corte di Giustizia con il caso Idexx è ulteriormente intervenuta lo scorso 11 dicembre per ribadire che siamo in presenza di un inadempimento di natura formale. E in questa situazione occorre rimediare alla risoluzione post Ecotrade, con cui veniva richiesta l'inammissibile sanzione dal 100% al 200% dell’imposta non evasa.

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MARCO PIAZZA

6. VOLUNTARY: PERIODI, IMPOSTE, SANZIONI

Il raddoppio dei termini non si applica all’Irap

L’istituto è limitato

a imposte dirette e Iva

anche nei casi di

collaborazione volontaria

Uno dei punti in attesa di conferma rispetto alla voluntary disclosure è il fatto che non sarà applicato il raddoppio dei termini di accertamento ai fini Irap. Vediamo come si arriva a questa conclusione. Il comma 2-bis dell’articolo 43 del Dpr 600/1973 prevede il raddoppio dei termini di accertamento in caso di «violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74». A questa norma corrisponde l’articolo 57, comma 3, del Dpr 633/1972 per l’Iva.

Per l’Irap, l’articolo 25 del Dlgs 446/1997 stabilisce che per le attività di controllo, di accertamento, di riscossione e contenzioso in materia di Irap «si applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi ad eccezione degli articoli 38, commi dal 4 al 7, 44 e 45 del Dpr 600/1973».

Secondo l’opinione prevalente, all’Irap non si applica il raddoppio dei termini in quanto il comma 3 citato in precedenza richiama espressamente i reati disciplinati dal Dlgs 74/2000, che ricomprende solo i reati in materia di imposte sui redditi e Iva. L’Irap, in altri termini, non rientra tra gli interessi tutelati dal Dlgs 74/2000, in quanto ha natura reale (articolo 1, comma 2, del Dlgs 446/97) e non reddituale. Anche la giurisprudenza di Cassazione e la prassi hanno confermato l’inapplicabilità del raddoppio dei termini per l’accertamento dell’Irap (Cassazione penale, n. 11147/2012 e la circolare delle Entrate 154/2000, in materia di reati tributari, con riferimento ai delitti in materia di dichiarazione).

Si deve dunque intendere che la norma sul raddoppio dei termini faccia riferimento solo alle imposte sui redditi e all’Iva. Lo conferma anche la relazione illustrativa al Dl 223/2006 che, commentando l’introduzione della norma sul raddoppio del termine, afferma «... con i commi da 24 a 26 si apportano modifiche ai termini di decadenza dei poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria in materia di imposte dirette e di Iva».

L’orientamento viene ribadito anche dalla più recente giurisprudenza di merito; da ultimo, la Ctp di Milano che con sentenza n. 6464/47/14 ha affermato «con specifico riferimento ai rilievi Irap, si evidenzia che il decreto 74/2000 non conferisce rilevanza penale ai fini Irap, né per analogia può essere applicato il già citato raddoppio dei termini ai fini Irap, di conseguenza il raddoppio dei termini applicato ai fini Irap risulta illegittimo non rientrando la fattispecie criminosa sulla previsione del Dlgs 74/2000».

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ROBERTO LUGANO

7. VOLUNTARY: PROCEDURA E RUOLO DEI PROFESSIONISTI

Servono calcoli «sensati» per la sanatoria domestica

In assenza di documenti

l’evasione va calcolata

con criteri temporali

o proporzionali

Da quando è stata promulgata la legge sulla collaborazione volontaria (la 186/2014) l’attenzione degli operatori è puntata in prevalenza sul tema della voluntary disclosure delle attività detenute all’estero. La nuova normativa contiene però anche un’altra disposizione, che riguarda la sanatoria delle violazioni domestiche, non priva di questioni problematiche, soprattutto per quanto riguarda l’imputazione temporale dei redditi.

Chiariamo meglio la questione con un primo esempio semplice: una società ha dedotto un costo fittizio, utilizzando l’operazione per costituire una provvista in nero. Questa operazione, che viene ora autodenunciata in sede di presentazione della domanda di collaborazione, è chiaramente riferita a un determinato periodo di imposta, per cui diventa estremamente semplice determinare modi e costi della sanatoria: si tratterà di applicare imposte e aliquote del periodo, e di determinare le sanzioni.

Molto più complesso è invece il caso in cui le violazioni sono continuate nel corso del tempo. Consideriamo l’esempio più diffuso: una società, un professionista oppure un imprenditore individuale hanno sistematicamente omesso di dichiarare una parte dei loro ricavi o compensi, tipicamente quelli relativi ad operazioni con clienti privati; il “nero” è rimasto in Italia, ed è costituito da contanti, custoditi in proprio o depositati in qualche cassetta di sicurezza. Supponiamo anche che il nostro soggetto abbia iniziato l’attività nel 2004 e che la somma che viene oggi regolarizzata sia di un milione di euro. È evidente che non risulta alcuna documentazione che possa essere fornita in relazione ai periodi in cui sono state evase le imposte.

Bisogna capire quale sarà l’atteggiamento dell’agenzia delle Entrate su questa fattispecie; la logica e il buon senso porterebbero ad adottare criteri temporali (ad esempio, un milione diviso l’arco dell’attività, che in questo caso è di dieci anni , darebbe una presunzione di ricavi non dichiarati per 100mila euro ogni anno) oppure proporzionali (ripartizione del nero tra i dieci anni in proporzione ai ricavi dichiarati in ciascun anno). Soluzioni più drastiche, come quella di imputare tutto il milione a un numero limitato di periodi (ad esempio solo quelli oggetto di disclosure), oltre a distorcere la realtà, finirebbero per ridurre ulteriormente l’interesse per la sanatoria.

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GIAN PAOLO RANOCCHI

8. DICHIARAZIONE PRECOMPILATA E SEMPLIFICAZIONI

Il professionista non paga se è colpa del contribuente

Con il 730 a domicilio

va chiarito quali siano

le “gravi sviste”

commesse dal cliente

Responsabilità plurisoggettiva nella precompilata modificata. Quest’anno saranno molti i casi in cui la “proposta” di dichiarazione messa a disposizione del contribuente dall’amministrazione finanziaria dovrà essere integrata con i dati di diversi oneri, per cui il focus si concentra su chi sarà chiamato a rispondere di eventuali contestazioni.

Il primo luogo va detto che, di qualsiasi ripresa conseguente a una vera e propria attività di accertamento, il responsabile sarà sempre il contribuente. Ciò in quanto la corretta indicazione dei redditi prescinde dai controlli formali del visto di conformità. Il contribuente risponde poi di ogni errore commesso (formale o sostanziale) se è lui stesso a presentare la propria dichiarazione dei redditi.

Se il modello è presentato tramite un intermediario abilitato che appone il visto di conformità, le conseguenze che dovessero derivare dall’infedeltà del visto in termini di somme complessive dovute (imposte, sanzioni e interessi), ricadranno sul professionista, salvo che l’errore non sia la conseguenza dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

Questo è un punto delicato perché, se la qualificazione del dolo sembra piuttosto immediata, molto più difficile è individuare quando una condotta colposa è grave e quando non lo è. Inoltre occorre capire meglio in quale fase nel procedimento di contestazione, e in quale modo, l’intermediario potrà opporre all’Agenzia le proprie giustificazioni in merito al visto errato. Ove mancasse questo contraddittorio, gli elementi a discarico finirebbero per essere valutati dal giudice solo in sede processuale, con il rischio, per l’intermediario, di dover provvedere all’esborso in attesa di vedere riconosciute le proprie ragioni.

Peraltro va ricordato che sembra impossibile dare una copertura assicurativa al professionista che appone il visto per le somme che eventualmente sarà chiamato a corrispondere, in quanto non si tratta di somme pagate da terzi, ma dallo stesso assicurato.

Le istruzioni al modello 730/2015 confermano che per la precompilata modificata con visto, resta in ogni caso ferma la responsabilità esclusiva del contribuente per la sussistenza delle condizioni soggettive che danno diritto a detrazioni o deduzioni. Un esempio è il caso dell’effettiva destinazione dell’immobile ad abitazione principale ai fini della verifica della sussistenza dei requisiti per la detrazione degli interessi passivi sul mutuo.

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BENEDETTO SANTACROCE

9. IL NUOVO RAVVEDIMENTO OPEROSO

Ravvedimento e adesione al ballottaggio nel 2015

Per i Pvc e gli inviti

notificati entro fine anno

il contribuente deve

“pesare” i due isitituti

Con la convivenza per il 2015 tra il nuovo ravvedimento operoso e gli istituti deflattivi del contenzioso (quali l’adesione al Pvc e l’invito al contradditorio emesso dalle Entrate) sarà importante che il contribuente proceda a un’attenta valutazione delle possibili scelte di cui potrà avvalersi.

Dal 1° gennaio scorso, infatti, è in vigore la nuova disciplina del ravvedimento operoso, ma restano in vigore anche gli istituti deflattivi appena citati per i Pvc e gli inviti notificati entro il 31 dicembre 2015.

Il nuovo ravvedimento e gli istituti deflattivi “in via di estinzione” sono utilizzabili dal contribuente in forma alternativa, il che impone al contribuente verificato un’attenta riflessione: meglio chiudere, senza alcun contraddittorio, tutta la partita con il fisco (adesione) oppure sanare ciò che si ritiene effettivamente violato (ravvedimento) per poi lasciarsi aperte altre strade sui rilievi non condivisibili?

L’adesione può riguardare solo il contenuto integrale del verbale di constatazione e/o dell’invito a comparire, e riguarda necessariamente tutti i rilievi in materia di imposte dirette e Iva e tutte le annualità sottoposte a verifica dai verbalizzanti, con una riduzione delle sanzione fino a un sesto del minimo. Non è possibile aderire, come detto, a tutti i processi verbali di constatazione o a tutti gli inviti, ma solo a quelli notificati entro il 31 dicembre 2015 e che consentono l’emissione di un avviso di accertamento parziale (articolo 41-bis del Dpr 600/1973).

Nel caso in cui invece il contribuente decidesse di non aderire a tutte le violazioni contestate potrà ravvedersi utilizzando le nuove regole. Infatti il nuovo ravvedimento permette al contribuente di decidere in piena autonomia quali rilievi accettare e quali lasciare. In tal caso, pertanto, la dichiarazione integrativa a sfavore e la contestuale liquidazione delle imposte potrà riguardare solo alcune delle contestazioni eccepite dal fisco (che il contribuente ritenga condivisibili o sulle quali pensi di non avere buoni margini di difesa).

I rilievi e le contestazioni che resteranno pendenti invece potranno essere oggetto di osservazioni da parte del contribuente e, se non accolte dall’ufficio, di un autonomo avviso di accertamento nei confronti del quale il contribuente sarà libero di proporre un istanza di accertamento con adesione (con beneficio delle sanzioni ridotte ad un terzo del minimo) oppure direttamente un ricorso da discutere, successivamente, in contenzioso.

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RENATO PORTALE

2. L’IVA SULL’E-COMMERCE E LA FATTURA ELETTRONICA

Iva al 4% per gli e-book in anticipo sulla Ue

Le regole europee

escludono mini-aliquote sui servizi prestati

per via elettronica

E-book con Iva agevolata a rischio per l’Italia, che può attendersi l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea. Il braccio dei ferro del Governo italiano segue la forte presa di posizione assunta dai ministri europei della cultura che, all’unanimità, hanno sottoscritto un documento nel quale viene evidenziata la differenza di trattamento a livello Iva presente tra libri di carta ed e-book in formato digitale e se ne auspica il superamento. Per usare le parole del ministro Franceschini«un libro è un libro, al di là del supporto di lettura».

Tuttavia, se le regole europee non cambieranno, l’avvio di una procedura di infrazione è quasi certo. Infatti l’articolo 98 della direttiva Iva al paragrafo 2, comma secondo prevede espressamente che «... le aliquote ridotte non si applicano ai servizi forniti per via elettronica». In aperto e consapevole contrasto con la disciplina comunitaria l’articolo 1, comma 667 della legge di stabilità 2015 stabilisce che ai fini dell’applicazione dell’aliquota Iva ridotta del 4% «…sono da considerare libri tutte le pubblicazioni identificate da codice Isbn e veicolate attraverso qualsiasi supporto fisico o tramite mezzi di comunicazione elettronica». Il codice Isbn è il codice internazionale che permette di identificare univocamente un libro in tutto il mondo.

La norma richiama espressamente il numero 18) della tabella A, parte II, allegata al Dpr n. 633/1972 fornendo, così, l’interpretazione autentica di ciò che sono da considerarsi «libri».

In passato la Francia ha introdotto al suo interno alla fornitura di libri elettronici l’aliquota del 7% (dal 1° gennaio 2012) e del 5,5% (dal 1° gennaio 2013) e anche il Lussemburgo ha inserito, sempre dal 1° gennaio 2012, la fornitura di libri digitali tra i servizi da assoggettare all’aliquota più ridotta del 3 per cento. La Commissione europea il 6 settembre 2013 ha proposto ricorso contro la Francia avanti la Corte di giustizia Ue (causa C-479/13) e il successivo 18 settembre ha adottato lo stesso comportamento contro il Lussemburgo (causa-502/13). Quindi c’è da aspettarsi che accada lo stesso per l’Italia, anche se nel frattempo la normativa europea potrebbe cambiare.

Va detto, infine, che l’aliquota agevolata è prevista solo per i libri (contrassegnati dal codice Isnb) e non anche per la messa a disposizione online di quotidiani, periodici, riviste e altre pubblicazioni comunque diverse dal libro in senso proprio, che resteranno soggetti all’aliquota ordinaria, pari al 22 per cento.

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GIAN PAOLO TOSONI

3. IL NUOVO REGIME DEI MINIMI

Va chiarito quando scatta l’uscita dal «forfettizzato»

La carenza dei requisiti può essere accertata

dall’ufficio o dal giudice

dopo diversi anni

Il nuovo regime forfettario per le persone fisiche che esercitano attività di impresa e di lavoro autonomo è il regime naturale per i contribuenti che rispettano i requisiti di accesso (ad esempio, ricavi entro i limiti previsti) e che non si trovano in una delle cause di esclusione (ad esempio, socio di società trasparente).

Il regime cessa di avere applicazione dall’anno successivo a quello in cui vengono meno tali condizioni. Ma la legge di stabilità (comma 74 dell’articolo 1, legge 190/2014) prevede altresì che il regime non si applichi più dall’anno successivo a quello in cui, a seguito di accertamento divenuto definitivo, viene meno taluna delle condizioni previste per la sua applicazione.

La norma è di difficile applicazione e non viene spiegata nella relazione illustrativa. Da un lato è ovvio che se, ad esempio, vengono accertati maggiori ricavi per un importo tale da superare i limiti previsti dalla legge, il regime forfetario cessa dall’anno successivo. Ma i tempi non tornano. Normalmente l’accertamento viene effettuato ad alcuni anni di distanza, poi il contribuente ha la facoltà di ricorrere e in questo caso la definitività dell’accertamento slitta ancora in avanti.

Non si comprende dalla norma da quale periodo di imposta abbia quindi effetto la cessazione del regime forfettario. Ad esempio, se l’accertamento di maggiori ricavi riguarda l’anno 2015 e l’avviso, per una ragione o per l’altra diventa definitivo nell’anno 2020, resta in dubbio se la cessazione del regime decorra dal 2016 o dal 2021. La regola generale porterebbe a dire che per il 2016 il contribuente non può essere forfettario alla luce dei maggiori ricavi percepiti nell’anno precedente, e tale circostanza potrà essere oggetto comunque di specifico accertamento da parte della Agenzia.

Ma la previsione contenuta nel comma 74 forse non riguarda questa fattispecie, che non necessita di apposita previsione normativa. La disposizione si potrebbe allora interpretare come una sanzione accessoria, nel senso che se il contribuente ha disatteso i requisiti di accesso (oppure è incappato in una causa di esclusione) dall’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo perde per sempre la possibilità di applicare il regime forfettario; ciò ancorché negli anni successivi rispetti puntualmente i requisiti di accesso e non incorra nelle cause di esclusione. Quest’ultima interpretazione appare tuttavia troppo severa considerando che la norma prevede una specifica penalizzazione in caso di infedele attestazione dei requisiti con la maggiorazione delle sanzioni ordinarie nella misura del 10 per cento.

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LUCA GAIANI

4. IRAP, ACE, BREVETTI E NOVITÀ PER LE IMPRESE

L’Ace sorta prima del 2014 può abbattere l’Irap dovuta

Le istruzioni a Unico

permettono di sfruttare

le eccedenze maturate

in esercizi precedenti

Il credito da eccedenza Ace fa il suo ingresso nel bilancio 2014 con alcuni dubbi ancora da risolvere. Nei mesi socrsi il decreto competitività (Dl 91/2014) ha introdotto una nuova possibilità di utilizzo dell’incentivo alla capitalizzazione delle imprese (Ace) che si applica dall’esercizio in corso al 31 dicembre 2014.

Secondo la norma, le eccedenze di Ace inutilizzate per incapienza di reddito imponibile – in alternativa al rinvio a nuovo – possono essere trasformate in crediti di imposta da portare a riduzione dei versamenti Irap in cinque rate annuali.

Per le società in consolidato fiscale, la conversione, stando a quanto precisato dalle istruzioni a Unico 2015, può avvenire solo per la parte non assorbita dal reddito di gruppo.

Il nuovo meccanismo pone diversi interrogativi sia in merito alla sua effettiva applicazione, sia con riguardo all’impatto sul bilancio.

Un primo dubbio, che risulta in parte chiarito dalle istruzioni alla dichiarazione dei redditi, riguarda le modalità di calcolo. Posto che la facoltà di conversione decorre dal 2014, ci si chiede se il credito generato in tale esercizio debba avere riguardo alla sola Ace dell’anno o se si possano immediatamente trasformare anche le eccedenze formatesi in esercizi passati e riportate a nuovo. La risposta corretta è quest’ultima come si evince dalla struttura del nuovo modello Unico 2015: tutta l’Ace del 2014 (eccedenze di anni precedenti maggiorate della deduzione di quest’anno), per la parte che supera il reddito imponibile dell’esercizio (e del gruppo), potrà essere trasformata in credito di imposta.

Il credito andrà rilevato nel bilancio 2014 utilizzando la voce 22 quale provento da imposte (come per le imposte differite attive) con contropartita un credito vs. l’erario per Irap. Questo “provento” fiscale non concorrerà alla formazione del reddito (anche se il punto andrebbe opportunamente confermato dalle Entrate) trattandosi, di fatto, di una minore imposta (Ires) indeducibile, che viene impiegata per pagare un altro tributo.

Altro tema in discussione riguarda la possibilità (che invero non pare prevista dalle istruzioni ai modelli 2015) di convertire in credito una parte della eccedenza, rinviando a nuovo il restante importo. Una conferma in tal senso sarebbe estremamente opportuna per quei contribuenti che ritengono di poter generare redditi imponibili capienti prima del periodo quinquennale di utilizzo del credito.

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FRANCO ROSCINI VITALI

5. IL BILANCIO 2014 ALLA LUCE DEI NUOVI PRINCIPI OIC

Bilanci corretti tutelano l’impresa davanti al fisco

Il principio

di derivazione

ha rilevanza in assenza

di norme tributarie

Il bilancio redatto correttamente costituisce una garanzia per le imprese, anche nei confronti del fisco.

In via generale, infatti, nel caso non vi siano specifiche disposizioni tributarie, il comportamento seguito dall’impresa nella redazione dei conti annuali ha rilevanza anche per il fisco (in base al principio di derivazione).

Inoltre, poiché il codice civile contiene norme giuridiche, il redattore del bilancio deve conoscere le disposizioni che integrano sul piano tecnico le norme di legge: queste sono costituite dai principi contabili nazionali emanati dall’Organismo italiano di contabilità.

La recente sentenza della Corte di cassazione 22016/14 ha condiviso il comportamento dei verificatori che avevano considerato indeducibile parte degli ammortamenti iscritti in bilancio: seppure ricompresi entro i limiti consentiti dalla norma fiscale, non erano stati giustificati nella nota integrativa.

La società, fino ad un certo anno, aveva calcolato gli ammortamenti utilizzando metà dell’aliquota fiscale massima prevista dal Decreto ministeriale del 31 dicembre 1988: successivamente, aveva utilizzato l’aliquota massima consentita fiscalmente, senza giustificare nella nota integrativa il cambiamento di stima.

A tale proposito, l’articolo 2426, numero 2, del codice civile impone l’illustrazione (nella nota integrativa) delle eventuali modifiche dei criteri d’ammortamento e dei coefficienti applicati. I principi contabili nazionali Oic 16 e Oic 29, relativi rispettivamente alle immobilizzazioni materiali e ai cambiamenti di stime, illustrano sul piano tecnico la disposizione contenuta nel codice civile integrando le stesse con indicazioni pratiche.

La sentenza, per alcuni aspetti, può anche essere criticata. In ogni caso, però, se ne deve tenere conto.

Il principio di derivazione, infatti, è valido anche in senso favorevole alle imprese e di questo il fisco deve tenere conto. Per esempio, l’imputazione alle rimanenze o alle immobilizzazioni materiali degli interessi passivi (seguendo le indicazioni dei principi contabili Oic 13 e Oic 16) è senza dubbio valida anche ai fini fiscali.

Altro esempio riguarda le immobilizzazioni materiali destinate alla vendita, che l’Oic 16 prevede siano classificate in un’apposita voce dell’attivo circolante: se la riclassificazione è effettuata nel rispetto delle condizioni previste dal principio contabile, non vi è dubbio che sia valida anche dal punto di vista tributario.

Invece, in tutti i casi in cui esiste una norma tributaria specifica si dovrà attivare il doppio binario e rilevare l’eventuale fiscalità differita.

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ANTONIO IORIO

10. AUTORICICLAGGIO, SOCIETÀ ESTINTE, REATI FISCALI

Responsabilità dei soci: dubbi sulla retroattività

Se il raggio d’azione

fosse generalizzato

si potrebbero riaprire

contenziosi già definiti

Le nuove regole sugli effetti fiscali dell’estinzione delle società sono retroattive. A sostenerlo è l’agenzia delle Entrate, poiché si tratta di una norma procedurale e pertanto trova applicazione anche per soggetti già cancellati prima della data di entrata in vigore del decreto semplificazioni (Dlgs 175/2014), cioè lo scorso 13 dicembre. Tuttavia, questa interpretazione – a parte destare dubbi sulla sua legittimità – suscita numerose perplessità.

Innanzitutto occorre comprendere su quali atti può estendersi la retroattività. Nella circolare 31/E/2014, infatti, non è precisato se opera solo sugli atti notificati e non ancora impugnati in primo grado oppure in via generalizzata su tutti gli atti non definitivi.

Se l’interpretazione delle Entrate fosse la seconda, significherebbe che i diversi uffici potrebbero decidere di coltivare contenziosi che fino a poco fa potevano verosimilmente considerarsi definiti. Si pensi, ad esempio, a un ricorso vinto in primo grado perché la Ctp ha confermato l’illegittimità dell’atto emesso nei confronti di un soggetto estinto. Se i termini per l’appello fossero ancora pendenti, di fatto, l’ufficio potrebbe insistere sulla validità della pretesa alla luce della nuova norma. Tra l’altro, mal si comprende non solo quale sia il soggetto legittimato ad agire in giudizio, ma anche chi possa conferire la delega per la difesa, in assenza di un legale rappresentante dell’ente.

Altre perplessità sono poi legate alla posizione dei soci. La nuova norma ha invertito l’onere probatorio, prevedendo che dovranno essere i soci a dimostrare di non aver incassato le somme pretese dal fisco.

Secondo l’Agenzia, i soci devono rispondere delle somme contestate in misura pari alle quote di partecipazione, a prescindere dall’eventuale saldo attivo di liquidazione percepito.

Tuttavia, nell’ipotesi in cui siano stati contestati alla società incassi in “nero” (anche su base presuntiva) difficilmente il socio potrà dimostrare di non aver percepito questi importi.

Non fosse altro perché, se anche l’ente avesse incassato senza fatturare, non necessariamente le somme sarebbero state distribuite ai soci, potendo essere utilizzate per pagare altri costi della società stessa.

Dato che queste nuove disposizioni sono contenute nel decreto semplificazioni, che avrebbe dovuto semplificare appunto gli adempimenti del contribuente (e non certo per l’amministrazione), è auspicabile che la retroattività valga anche quando è l’Agenzia a dover rimborsare delle somme e non solo per il contrario.

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PRIMO CEPPELLINI

11. NORMA ANTIELUSIVA E PROSPETTIVE DI RIFORMA

Nuovi principi antielusivi validi anche per il passato

Le norme sostanziali

nello schema di decreto

ricalcano le sentenze

della Cassazione

La nuova disciplina dell’abuso del diritto avrà efficacia dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore del futuro decreto attuativo della delega fiscale. Nel testo provvisorio si prevede che si applicherà anche alle operazioni poste in essere in data anteriore all’efficacia, a condizione che a tale data non sia stato notificato l’atto impositivo. La relazione illustrativa chiarisce che così si declina il principio tempus regit actum per il quale le nuove norme si applicano ai procedimenti amministrativi non ancora conclusi con l’atto finale.

Vi saranno così due tipologie di accertamenti antielusivi: quelli emanati prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo e quelli successivi. Solo per i secondi varranno le norme, più favorevoli, previste dal decreto. La disposizione potrebbe avere un senso per evitare la decadenza degli accertamenti che non hanno rispettato gli obblighi procedimentali previsti dalle nuove norme a pena di nullità. Resta qualche perplessità invece circa l’impossibilità di utilizzo dei nuovi argomenti sostanziali di difesa, in quanto sembrano del tutto coerenti con la consolidata giurisprudenza della Cassazione sul tema. In tal senso ricordiamo che:

il decreto prevede che non si considerano abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali e che sono tali anche quelle di ordine organizzativo o gestionale. In tal senso la sentenza 30055/2008 aveva evidenziato l’abuso «in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale». Inoltre le giustificazioni economiche del contribuente devono essere «di carattere non meramente marginale o teorico» (sentenza 1465/2009) oltre che possono essere di natura organizzativa (sentenza 1372/2011).

il decreto prevede il principio generale secondo il quale il contribuente può perseguire in modo legittimo un risparmio d’imposta scegliendo l’opzione meno onerosa sotto il profilo fiscale. Più volte la Cassazione aveva chiarito che la scelta di forme giuridiche che minimizzino il carico fiscale costituisce un diritto costituzionale degli operatori economici;

infine riguardo l’onere della prova anche la Cassazione aveva evidenziato, a più riprese e in linea con il testo del decreto, che l’individuazione dell’abuso è a carico del fisco mentre l’onere di dimostrare che l’uso della forma giuridica corrisponde a un reale scopo economico, diverso dal risparmio fiscale, incombe al contribuente.

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DARIO DEOTTO

12. ABUSO DEL DIRITTO: I CASI CONCRETI

Decisivo fissare il confine con l’evasione fiscale

Non può esserci abuso

tutte le volte in cui

si altera o dissimula

per sottrarre imponibile

L’abuso del diritto e la certezza del diritto non può che essere un ossimoro. È noto, infatti, che dove finisce il diritto inizia l’abuso: le prime tracce si rinvengono nel diritto romano. Per cui l’abuso non può “sposarsi”, per sua definizione, con la certezza del diritto. L’abuso del diritto, per sua natura, è illimitato e quindi va individuato solo per esclusione. In ambito tributario, l’abuso si realizza quando si compiono atti o negozi perfettamente validi ed efficaci, ma in funzione atipica, nel senso che la finalità essenziale di questi ultimi è quella di conseguire un vantaggio fiscale illegittimo in quanto viene aggirata la finalità della norma o del sistema.

Pertanto, poiché l’abuso non può che essere individuato per esclusione, occorre comprendere se il vantaggio conseguito è diverso da quello legittimo oppure se il vantaggio conseguito risulta diverso da quello realizzabile evadendo. Solo in questo caso si può parlare di abuso del diritto in ambito tributario, che, se ben si riflette, non può che riguardare poche casistiche. La cosa più importante – prevista anche nello schema di decreto legislativo poi ritirato dal Governo – è comprendere che tutte le volte in cui si altera, si manipola, si dissimula si è in presenza di evasione e non di abuso o elusione.

Questo fa capire che tutte le vicende che in passato sono state identificate come abuso – quelle sulla cessione dei marchi, sullo sfruttamento dell’immagine di determinati soggetti, sull’antieconomicità – non potevano, e non possono, che essere ricondotte all’evasione. Come più volte infatti è stato riportato su Il Sole 24 Ore, un conto è simulare, dissimulare, comunque alterare il rapporto giuridico, altro conto è “abusare del diritto”. Si evade anche quando la ricchezza viene dissimulata qualificandola diversamente (ad esempio, quando un rapporto di lavoro dipendente di un calciatore viene dissimulato in un diritto di sfruttamento dell’immagine) o imputandola a un altro soggetto (tipico esempio è la presunzione sulle società di comodo). Anche in questi ultimi casi non si rispetta la legge, quindi si evade (o si è in presenza di una presunzione di evasione).

Diverso è il concetto di abuso del diritto che si ha – come si è detto – quanto un soggetto non altera, ma semplicemente pone in atto delle operazioni che hanno come finalità quella di conseguire un vantaggio che la norma, il sistema, non consentirebbe. In questo modo, l’abuso del diritto in campo tributario non può che ritenersi una sorta di extrema ratio.

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ANGELO BUSANI

13. NOVITÀ DELLA FISCALITÀ IMMOBILIARE NEL 2015

Il rent to buy alla prova della prassi degli operatori

Da chiarire i casi in cui

c’è l’obbligo d’acquisto

o tutto il canone

è imputato a prezzo

Uno dei principali problemi interpretativi della nuova normativa del rent to buy (articolo 23, Dl 133/2014) è l'individuazione dell'esatto perimetro applicativo. Il rent to buy, in italiano, è definibile come il contratto di concessione del godimento in funzione della futura alienazione di un immobile. Più tecnicamente, si riferisce (secondo il dettato normativo) ai «contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l'immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto».

Dalla delimitazione del perimetro della sua definizione, dipende l'applicazione delle norme che la legge riserva a questa fattispecie, prima fra tutte quella sulla trascrivibilità del contratto nei registri immobiliari e, a cascata, sul privilegio speciale immobiliare del conduttore, in caso di inadempimento del concedente, per la restituzione delle somme che il conduttore ha versato al concedente.

La prima questione afferisce al «diritto del conduttore di acquistare» l'immobile concesso in godimento. Chi scrive una norma di tal fatta evidentemente sta pensando alla tutela del conduttore e del suo obiettivo d'acquisto futuro. Ma cosa dire del contratto dal quale, oltre a un diritto all'acquisto, per il conduttore sorga anche un obbligo all'acquisto?

Un'altra questione riguarda l'espressione usata dal legislatore utilizza quando afferma che il conduttore ottiene il trasferimento della proprietà del bene concessogli in godimento «imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto». Vuol dire che se “tutto” il canone viene imputato a prezzo la disciplina del rent to buy non si applica? E quindi si finirebbe inevitabilmente ad applicare la normativa in tema di contratto di vendita con riserva di proprietà?

A prima vista sembra il testo legislativo non debba necessariamente essere considerato “alla lettera”. Invero, quando il legislatore ha parlato del «diritto» di acquisto del conduttore non pare avere escluso (perché appare illogico) i casi in cui il conduttore, oltre che un diritto, abbia anche un “obbligo” di acquisto. E quando ha considerato l'imputazione a prezzo di “parte” del canone, non pare si sia con ciò voluto necessariamente escludere il caso in cui le parti si accordino di imputare a prezzo “tutto” il canone (piuttosto, pare che il legislatore abbia solo alluso al caso più frequente, in cui chi vende si fa pagare, oltre che il prezzo della vendita, anche un corrispettivo per il periodo di concessione in godimento del bene).

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