Norme & Tributi

L’Imu agricola colpisce 1.601 Comuni più di prima

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imposta sui terReni

L’Imu agricola colpisce 1.601 Comuni più di prima

Con il decreto in corsa approvato giovedì scorso, e pubblicato sabato sulla «Gazzetta Ufficiale» (Dl 4/2015), il Governo ha riscritto per l’ennesima volta i parametri per individuare i confini dell’«Imu agricola», con l’obiettivo espresso di tornare a esentare i terreni nei Comuni di montagna: la «classificazione sintetica» dell’Istat, che rappresenta il pilastro delle nuove regole, senza dubbio ha effetti meno casuali rispetto al criterio altimetrico (basato sull’«altitudine al centro» del Comune), ma anche nella nuova versione l’Imu degli ex montani colpisce ad ampio raggio. L’imposta colpirà infatti tutti i terreni in 3.882 Comuni, cioè 1.601 in più rispetto a quelli dove Ici e Imu si applicavano nel vecchio regime regolato dalla circolare ministeriale del 1993, e cambia anche la disciplina delle esenzioni parziali: con le vecchie regole era applicata in 523 Comuni, e la sorte fiscale dipendeva dalla zona in cui era collocato il terreno all’interno del territorio comunale, mentre in base alla nuova classificazione riguarderà 650 Comuni, e dipenderà non dalla condizione del terreno ma dalla qualifica del proprietario: coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali non pagheranno, mentre tutti gli altri dovranno presentarsi alla cassa.

Arrivano da questi numeri i 268,7 milioni di gettito aggiuntivo che il Governo ha stimato dall’applicazione dei parametri scritti nel decreto 4/2015. Il primo appuntamento con questi nuovi criteri è per il 10 febbraio, quando andrà versata ex post l’imposta del 2014. Attenzione, però, perché l’altalena delle regole è accompagnata da una «clasuola di salvaguardia» che evita la scadenza ai contribuenti che sarebbero stati esenti in base al criterio «altimetrico» approvato a novembre e ora mandato in soffitta: in questi casi, l’Imu agricola 2.0 si pagherà solo a partire dal 2015, dunque con la prima scadenza dell’acconto in calendario il 16 giugno. Per questa ragione, l’appuntamento del 10 febbraio riguarda tutti i proprietari di terreni in 3.045 Comuni, e in 1.414 enti chiama al versamento solo chi non ha la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale.

Quando si cambiano tre volte le regole in pochi mesi, è naturale che il tutto sfoci in un ginepraio per i contribuenti, con il rischio di mancati pagamenti interamente a carico dei Comuni ai quali lo Stato ha tagliato i fondi. Ad aumentare la confusione, in questo caso, c’è il fatto che nessuno dei tre parametri (circolare del 1993, criterio altimetrico e classificazione sintetica) sembra poggiare davvero su un quadro razionalmente spendibile per le decisioni fiscali. E nel caos si inserisce nuovamente anche il Tar Lazio, che con un nuovo provvedimento presidenziale (depositato il 23 gennaio, nel giorno in cui il Governo approvava il Dl 4/2015) ha sospeso il Dm di novembre con il criterio altimetrico fino al 18 febbraio: ma quel Dm serve per far scattare la clausola di salvaguardia.

Per capire che cosa fare entro il 10 febbraio, comunque, bisogna considerare la condizione del Comune in base al parametro altimetrico e in quello attuale. Nei Comuni «non montani» e con «un’altitudine al centro» inferiore a 281 metri, tutti i proprietari dovranno pagare, ma se l’altitudine è fra 281 e 600 coltivatori diretti e Iap saranno esenti, mentre l’esenzione sarà totale se il Comune si trova ancora più in alto: già, perché ci sono anche Comuni «non montani» ma collocati sopra i 600 metri di altitudine (sono 16), così come ci sono Comuni sul mare considerati «parzialmente montani» dal nuovo parametro.

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