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Jobs act, rischio contenziosi sulle tutele crescenti

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I punti critici

Jobs act, rischio contenziosi sulle tutele crescenti

Il Jobs act compie un grosso passo in avanti, che dovrebbe aiutare l'occupazione e, di concerto, la competitività delle imprese.
In primis, con l'abolizione del rito Fornero, che rappresentava un'inutile duplicazione di tempi e costi di giustizia e che andava contro i criteri e i principi di certezza del giudizio. In secundis, l'introduzione dell'offerta conciliativa costituirà un utile strumento (recepito dalla prassi) per avvicinare le parti ed evitare il contenzioso. E ancora, il riordino delle tipologie contrattuali con relativa eliminazione di collaborazioni coordinate e continuative, job sharing, associazione in partecipazione, garantirà maggiore facilità nell'assunzione di nuove risorse con contratto a tempo indeterminato e consentirà di smascherare le finte partite Iva e i contratti a progetto.

Parallelamente, con il decreto Poletti è stato sdoganato – seppur nel tetto massimo dei 36 mesi – il contratto a tempo determinato, per il quale non è più necessaria la previsione della causale giustificatrice e sono possibili sino a cinque proroghe. Ciò consentirà senz'altro una maggiore flessibilità in ingresso.
L'intento primario del Jobs act di promuovere la flessibilità in entrata e il tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro viene attuato anche mediante la concessione dell'esonero contributivo per un periodo di 36 mesi per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato effettuate entro il 31 dicembre 2015 (legge di stabilità 2015). Ma cosa accadrà al termine del triennio di esonero contributivo? Aumenteranno i licenziamenti collettivi?

Inoltre tra le possibili e immediate conseguenze connesse all'introduzione del contratto di lavoro a tutele crescenti potrebbe esserci la creazione di un dualismo di categorie di lavoratori, quelli che soggiacciono alla nuova disciplina e coloro ai quali continuerà ad applicarsi la vecchia formulazione dell'articolo 18. Premesso che ciò può astrattamente porre seri dubbi circa la violazione dell'articolo 3 della Costituzione italiana, la coesistenza di tale dualismo farà sorgere l'esigenza di stipulare accordi di armonizzazione (con le rappresentanze sindacali) volti a semplificare e omogeneizzare il più possibile la gestione interna del personale (e i relativi costi).

Del resto, le imprese attualmente soggette a tutela obbligatoria, ove dovessero superare la soglia dei 15 dipendenti, applicherebbero a tutti gli addetti (anche a quelli “vecchi”) le tutele crescenti. Alla luce di ciò, converrà davvero superare tale soglia?
Il decreto attuativo in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti estende espressamente l'applicazione delle disposizioni in esso contenute anche nei casi di “conversione” - successiva all'entrata in vigore del decreto - di contratti a tempo determinato o di apprendistato a tempo indeterminato. Ci si domanda se ciò valga anche per i lavoratori reintegrati in azienda all'esito di un procedimento giudiziale.

Le modifiche apportate in materia di licenziamenti se da un lato diminuiranno il contenzioso, dall'altro lo innalzeranno per i licenziamenti asseritamente discriminatori e illeciti, nonché per quelli disciplinari qualora venisse dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale posto alla base dei medesimi, essendo questi - nell'assetto normativo odierno - gli unici strumenti a disposizione dei lavoratori per ottenere la reintegra nel luogo di lavoro.
Generiche e poco incisive sono, poi, le previsioni relative allo ius variandi del datore di lavoro. Viene riconosciuta la possibilità di modificare le mansioni lavorative, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione del lavoratore, ma certamente serviranno alcuni correttivi.

Resta anche da comprendere cosa debba intendersi per «modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore» e cosa debba intendersi per «ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore». Non si comprende, poi, quale sia il carattere di novità di tale previsione considerato che, tale tipo di accordi erano già consolidati nelle prassi aziendali ed erano e sono, tra l'altro, sempre stati avallati da consolidata giurisprudenza.
Dal punto di vista delle relazioni industriali, i decreti attuativi in esame riconoscono un ruolo centrale alla contrattazione collettiva a cui vengono demandati numerosi e ampi poteri normativi. Ciò potrebbe portare a un inasprimento dei rapporti con i sindacati, i quali diverrebbero detentori di grande potere contrattuale da utilizzare come strumento di lotta contro i datori di lavoro.

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