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Anticipo del Tfr: meglio l'uovo oggi (in busta paga) o la…

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Anticipo del Tfr: meglio l'uovo oggi (in busta paga) o la gallina domani?

Meglio l'uovo oggi o la gallina domani? È questo il dilemma con il quale tutti i lavoratori dovranno confrontarsi in relazione alla facoltà concessa dal Governo di poter richiedere in busta paga (dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018) il relativo accantonamento di Tfr maturato.

La gallina domani è rappresentata da una fiscalità applicata sulle somme ricevute più contenuta e da una copertura previdenziale più elevata. L'uovo oggi invece è costituito dalla necessità di far fronte alle spese primarie di breve termine, al saldo delle varie imposte, forse ad un incremento dei consumi, o all'accantonamento delle somme richieste per eventuali inattese esigenze future.

L'impatto deve però essere compreso in maniera chiara. Richiedere infatti il Tfr in busta paga può consentire di ricevere immediatamente un incremento della retribuzione netta mensile ma nella stragrande maggioranza dei casi, sotto un profilo economico, rappresenta la scelta più penalizzante. Nel periodo 1° marzo 2015-30 giugno 2018 i lavoratori potranno utilizzare il Tfr maturato in tre diversi modi: richiederlo in busta paga, lasciarlo in azienda oppure destinarlo ad un fondo pensione. In sintesi, se decideranno di richiederlo in busta paga l'accantonamento del periodo sarà incluso nell'imponibile fiscale, non sarà gravato da contribuzione obbligatoria all'Inps, sconterà tutte le addizionali regionali e comunali e, fatto salva l'erogazione del bonus fiscale degli 80 euro, sarà tassato sulla base dell'aliquota marginale (che in diversi casi potrà superare il 40 per cento. Se il Tfr invece sarà lasciato in azienda il lavoratore non riceverà ovviamente alcun incremento della retribuzione netta.

Alla cessazione dal servizio maturerà una prestazione pari ai relativi accantonamenti, rivalutati in misura pari al 75% dell'incremento del costo della vita più una percentuale fissa dell'1,5% all'anno. Le rivalutazioni sono soggette in ciascun anno a una imposta fissa che dopo l'ultima legge di stabilità è pari al 17% (prima era dell'11%). La prestazione finale è tassata sulla base dell'aliquota media dei redditi che il lavoratore ha percepito nei cinque anni precedenti (come minimo quindi il 23%, per i manager intorno al 45%).

Se il Tfr, infine, è destinato ad un fondo pensione gli accantonamenti saranno rivalutati annualmente ad un tasso che corrisponde al rendimento annuo generato dagli investimenti effettuati. Tali rendimenti saranno tassati, sempre dopo l'ultima legge di stabilità, sostanzialmente al 20% (era l'11% prima). Alla cessazione dal servizio la prestazione verrà soggetta a tassazione a un'aliquota individuata sulla base del periodo di iscrizione al programma. Al massimo risulterà pari al 15% per periodi di iscrizione inferiori a 15 anni. Successivamente sarà ridotta proporzionalmente. Sino al 9% per i lavoratori iscritti ad un fondo pensione per almeno 35 anni.

Il risultato del contesto descritto evidenzia come nella maggior parte dei casi la soluzione economicamente più conveniente sia la destinazione del Tfr al fondo pensione. Ipotizzando infatti che la richiesta del Tfr in busta paga sia presentata a partire dal 1 marzo 2015 (e che quindi in maniera obbligatoria, come previsto dalla legge, sia erogato sino al 30 giugno 2018) l'equivalente Tfr netto che il lavoratore percepirebbe al pensionamento risulta essere generalmente più elevato di quello che verrebbe erogato lasciando gli accantonamenti in azienda o del totale degli incrementi retributivi netti ricevuti nel medesimo periodo.

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