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Tradito il patto Fisco-contribuente

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Fisco & Contabilità

Tradito il patto Fisco-contribuente

IL RISCHIO

Compromesse le soluzioni

sinora trovate

anche dopo l’emanazione

nel 2008 della circolare

dell’agenzia delle Entrate

Da circa 20 anni si parla di trust in Italia. Il legislatore civilistico non l’ha mai preso in considerazione. Il legislatore fiscale lo ha osservato sotto il profilo delle imposte sui redditi. Quanto alle imposte indirette, il decreto legge n. 262/2006, reintroducendo l’imposta di donazione, ne ha disposto l’applicazione anche alla «costituzione di vincoli di destinazione», categoria generale nella quale indubbiamente il trust è ricompreso.

Sotto il profilo delle imposte indirette, il trust ha due momenti topici (la stessa cosa accade nel “vincolo di destinazione” previsto dall’articolo 2645-ter del Codice civile): quello nel quale il disponente istituisce il vincolo certi beni e quello nel quale i beni dei trust ricevono la loro “sorte” finale, vale a dire che vengono attribuiti dal trustee a coloro che il disponente indicò come attributari del patrimonio del trust. In un trust donativo si tratta di coloro che si arricchiscono con i beni del trust, in un trust di garanzia sono i creditori, in un trust per beneficenza sono i soggetti destinatari dello spirito liberale del disponente, in un trust istituito per supportare le spese di gestione e manutenzione di un museo si tratta del museo in sé o, mediatamente, del pubblico che ne fruisce, eccetera.

Inoltre, esistono sia trust (e vincoli di destinazione, articolo 2645-ter) nei quali vi è un passaggio di proprietà di beni e trust (nonché vincoli di destinazione) nei quali non vi è alcun trasferimento di diritti: si pensi al caso di Tizio, proprietario di un immobile di pregio o di una collezione artistica, che (mantenendone la proprietà) vincola questi beni alla fruizione del pubblico per 50 anni al fine di mantenere questa destinazione di tali beni a prescindere da chi (per compravendita, donazione, eredità) ne divenga il proprietario.

Combinando questi fattori (momento iniziale e finale del trust; vincolo traslativo o non traslativo), ne è uscito che (circolare agenzia delle Entrate n. 3/2008):

il trust (sia traslativo che auto-dichiarato) si tassa al momento di impressione del vincolo sui beni che vi sono destinati (e nessuna imposta è invece dovuta all’uscita);

i vincoli diversi dal trust (il fondo patrimoniale, il vincolo di destinazione ex articolo 2645-ter del Codice civile, l’accettazione di eredità con il beneficio di inventario, eccetera) sono tassati solamente se implicano un trasferimento di diritti.

Insomma, una soluzione difficile da digerire:

perché costringe ad applicare un’imposta nata per gravare sull’incremento patrimoniale del beneficiario di un’attribuzione gratuita al caso invece della mera adozione di un regime giuridico, qual è un vincolo di destinazione (e quindi intravedendo una manifestazione di capacità contributiva francamente difficile da concepire);

perché dà luogo a una contraddittoria tassazione anche di quei vincoli o trust che hanno come esito l’arricchimento di nessuno (l’esempio classico è quello del trust a garanzia dei creditori).

Soluzione indigesta, dunque, ma pur sempre una soluzione, sulla cui base contribuenti e fisco hanno lavorato da fine 2006 a oggi. Leggere adesso invece che la Cassazione ritiene «non coessenziale» per la tassazione «l’attribuzione a terzi, in quanto mercé la destinazione si modula e non trasferisce il diritto» significa non solo aderire a una contestabile idea di capacità contributiva (tuttavia, fino a qui, la medicina sarebbe amara, però andrebbe bevuta, perché pur sempre di un’interpretazione – seppur contestabile – si tratta) ma significa soprattutto tradire un patto tra contribuente e fisco, quello che si instaura ogni qualvolta il contribuente si adegua a quel che l’amministrazione detta. Qui la medicina diventa velenosa perché mina la certezza del diritto, la trasparenza nei rapporti fisco/contribuente, l’elaborazione di soluzioni, la voglia di fare e di investire.

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