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Giustizia, in carcere solo 226 corrotti e 216 corruttori

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i dati del ministero

Giustizia, in carcere solo 226 corrotti e 216 corruttori

Non è proprio che le carceri italiane scoppino di detenuti per corruzione e altri reati contro la pubblica amministrazione. I dati più recenti dell'amministrazione penitenziaria fotografano una realtà per certi versi sorprendente, almeno per chi, sulla scia delle continue inchieste di questi anni soprattutto sulle grandi opere pubbliche, individua nella corruzione, insieme con la mafia, la vera emergenza criminale italiana. La gravità del fenomeno infatti non si rispecchia nel numero dei detenuti: per la corruzione “classica”, quella propria, le presenze nelle carceri sono in tutto 226. Oltretutto con l'avvertenza che, nel caso in cui a una persona siano ascritti anche altri reati, appartenenti a categorie diverse da quella dei delitti contro la pubblica amministrazione, il conteggio può essere plurimo. Solo leggermente inferiore a quello dei corrotti è il numero dei corruttori che si attesta a quota 216.

Al di sotto di queste due categorie, per gli altri reati tipici dei rapporti pubblico-privato, i numeri sono assai inferiori: dopo le 84 detenzioni per turbata libertà degli incanti si va infatti dalle 48 persone in carcere per istigazione alla corruzione alle 44 per peculato, passando per le 33 dell'abuso d'ufficio e le 30 della rivelazione di segreti d'ufficio.
Ma un'altra precisazione è d'obbligo, perché, fa sapere il ministero della Giustizia, un certo numero di detenzioni è in realtà possibile solo perché insieme con il reato contro la pubblica amministrazione è contestata anche l'associazione a delinquere, delitto punito con pena da 3 a 7 anni. E su questo punto, tanto più nel momento in cui al Senato si discute una legge che interviene soprattutto sul versante delle sanzioni, va tenuto presente che il nuovo limite, introdotto nel 2013, che rende possibile l'applicazione della custodia cautelare è fissato a 5 anni.

Un tetto che, facendo riferimento alla sola ipotesi base non aggravata, rende impossibile la custodia cautelare per reati come l'abuso d'ufficio (4 anni di massima), l'indebita induzione, il traffico d'influenze illecite (reato quest'ultimo introdotto dalla legge Severino e sul quale poche settimane fa la Cassazione ha messo in evidenza l'allentamento delle maglie rispetto al “vecchio” millantato credito). Alzare le sanzioni allora può avere un senso più che in chiave di deterrenza in sé e per sé, nel rendere tuttavia possibile l'applicazione della custodia cautelare anche in casi in cui oggi non è possibile o lo è solo in caso di contestazione di una pluralità di delitti.

Insomma, il carcere resta tutto sommato un'ipotesi abbastanza remota, anche per effetto della possibilità, potendo indagati e imputati in genere contare, per questa tipologia di reati, su difese a elevato tasso tecnico, di applicare in maniera accorta i riti alternativi. A partire dal patteggiamento che, di solito, ha come riferimento il minimo della pena e non certo il massimo. Patteggiamento che adesso, il disegno di legge vorrebbe comunque subordinare alla restituzione dei proventi illeciti.

Discorso diverso, anche in questo caso numeri alla mano, per quanto riguarda la prescrizione. Qui lo stesso ministro della Giustizia, Andrea Orlando, facendo riferimento a dati del 2012, quando peraltro la legge Severino non aveva ancora dispiegato i suoi effetti, ha sottolineato come la prescrizione interessi solo una misura assai ridotta dei reati contro la pubblica amministrazione, non molto oltre il 3 per cento. Tuttavia lo stesso Orlando ha poi riconosciuto alla Camera la necessità di un intervento che riconoscesse la specificità di alcuni di questi reati (corruzione proprie e impropria e corruzione in atti giudiziari) e aumentasse i termini, al di fuori della riforma complessiva che fa leva invece sul congelamento dopo un giudizio di condanna.

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