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A fine mandato si resta in carica

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Diritto

A fine mandato si resta in carica

La «sede vacante» in condominio è sempre un problema. In realtà non che l’amministratore dimissonario o revocato scompaia , perché, anche se cessato dall’incarico è tenuto «(...) ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi» (articolo 1129, comma 8 cdel Codice civile).

Tale norma, cambiata dalla legge 220/2012, si applica in tutti i casi di cessazione del mandato derivanti da rinuncia, (mancata conferma), revoca assembleare, giudiziaria e automatica (articolo 71 bis , lettere a) b) c) d) e) delle Disposizioni di attuazione del Codice civile.

Tale norma racchiude un sorta di legalizzazione dellaprorogatio imperii che si verifica ogni qual volta l’amministratore, cessato, prosegua il suo mandato in attesa della nomina di un suo successore.

Questo istituto, infatti, secondo l’interpretazione della Cassazione, trova fondamento nella presunzione che la continuità a gestire il condominio sia conforme alla volontà dei condomini e all’interesse del condominio, o meglio nel consenso implicito dei condomini che si appalesa proprio nell’inerzia e, quindi, in un atteggiamento di acquiescenza.

Prima della entrata in vigore della riforma (18 giugno 2013), a fronte di un vuoto normativo, la Cassazione aveva disposto che non solo la “prorogatio imperii” «è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’articolo 1129, secondo comma, del Codice civile, o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina» (Cassazione, sentenze 1405/2007, 18660/2012 e 14930/2013) ma che l’amministratore uscente conservava provvisoriamente i suoi poteri e poteva continuarli ad esercitare fino a che non venisse sostituito da altro amministratore. (Cassazione, sentenza 1445/1993)

Con il nuovo articolo 1129 del Codice civile non solo si è consacrata la continuità dell’attività dell’amministratore cessato (in attesa di nomina del subentrante), ma si è delimitato, riducendolo, il suo ambito di azione, potendo compiere soltanto attività urgenti e pregiudizievoli agli interessi del condominio, addirittura senza compenso.

Solo quelle attività rientranti nel novero dell’articolo 1129 producono effetti nei confronti del condominio, oltre tali limiti fissati l’atto resta a carico del mandatario salvo ratifica da parte dell’assemblea (articolo 1711 del Codice civile).

Si tratta probabilmente di una norma che vuole “responsabilizzare” il condominio, in tutte e due le sue componenti: evitare il cristallizzarsi di una situazione di illegalità, stimolare i condomini a nominare un nuovo amministratore per sbloccare una gestione che rimarrebbe paralizzata a pochi atti, costringere l’amministratore a convocare assemblea per la nomina del suo successore dovendo diversamente lavorare senza compenso, offrendo a entrambi, in caso di impossibilità di nomina da parte dell’assemblea, a rivolgersi al giudice per la nomina di un amministratore giudiziario (articolo 1120, comma 1 del Codice civile).

Non rientra nella fattispecie esaminata il rinnovo automatico dell’incarico a fine mandato (articolo 1129 comma 10 del Codice civile): si tratta, infatti, di un rinnovo del mandato non di proroga dei poteri; né vi rientra il proseguirsi del mandato per l’amministratore che , in base all’articolo 71-bis, lettere f) e g) delle Disposizioni di attuazione, non possegga i requisiti per svolgere l’incarico di amministratore (diploma di scuola secondaria di secondo grado e frequentazione di un corso di formazione iniziale e attività periodica di aggiornamento).

In quest’ultimo caso, infatti, la legge non dispone alcunché (diversamente per la perdita dei requisiti di cui ai punti a-e) dell’articolo 71-bis delle Disposizioni, nel qual caso dispone la cessazione dall’incarico) per cui l’amministratore, pur trovandosi in una posizione di irregolarità, può rimanere in carica fino al termine del suo mandato, potendo l’assemblea revocarlo in ogni tempo “per giusto motivo” senza necessariamente incorrere, in una ipotesi di invalidità della nomina che si tradurrebbe in una necessaria azione legale per fare accertare tale invalidità.

La Cassazione (da ultimo con la sentenza 14930/2013) ha disposto che «l’amministratore condominiale, la cui nomina sia stata dichiarata invalida, continua ad esercitare legittimamente, fino all’avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza, anche processuale, dei comproprietari, rimanendo l’accertamento di detta “prorogatio” rimesso al controllo d’ufficio del giudice e non soggetto ad eccezione di parte, in quanto sia inerente alla regolare costituzione del rapporto processuale» ( Cassazione, sentenze 1405/2007, 3139/73, 3588/93, 5083/94; 4531/2003; 18660/2012).

Qualora si dovesse accettare tale inquadramento, fino alla nomina del nuovo amministratore, scatterà, per l’amministratore cessato, la prorogatio imperii e gli atti compiuti, nei limiti dell’articolo 1129 del Codice civile, saranno validi ed efficaci.

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