MILANO - Napoli perde 50,8 milioni rispetto allo scorso anno, Roma ne lascia sul terreno 46,8 e Milano 36. A Genova e Torino la spending costa poco più di 26 milioni mentre a Firenze il conto sfiora i 19 milioni.
Ieri pomeriggio il quadro dettagliato delle finanze comunali di quest’anno è uscito dall’ombra, con la pubblicazione da parte del Viminale dei dati sul fondo di solidarietà che tocca quest’anno a ogni sindaco. Rispetto agli anni passati l’accelerazione è evidente, e conferma la volontà del Governo di evitare ulteriori rinvii della scadenza per i bilanci preventivi oggi fissata al 31 maggio; altrettanto evidente è la riduzione di risorse a disposizione dei Comuni, per l’effetto combinato della spending review chiesta dall’ultima legge di stabilità e delle “code” delle manovre precedenti. Due dati bastano a inquadrare la questione: 767 Comuni, cioè più del 13% degli enti coinvolti nel meccanismo (sono quelli nelle Regioni a Statuto ordinario e in Sicilia e Sardegna), hanno un fondo di solidarietà negativo, cioè si sono visti azzerare il fondo e sono debitori netti dello Stato.
Per capire i numeri diffusi ieri dal ministero dell’Interno, indispensabili ai ragionieri per costruire i bilanci di quest’anno, bisogna dare uno sguardo al meccanismo che guida i conti locali. I trasferimenti statali sono stati ormai azzerati, e la «perequazione», cioè gli aiuti ai territori più poveri dal punto di vista fiscale, è garantita dai Comuni più ricchi. Ogni sindaco versa al «fondo di solidarietà comunale» il 38,23% dell’Imu generata dall’aliquota standard, e in questo modo si costruisce un bacino da 4,7 miliardi di euro. Qui si incontra il primo problema, perché i tagli hanno finito per colpire anche il fondo, con il risultato che quest’anno solo 4,3 miliardi di euro vengono redistribuiti fra i Comuni, e circa 400 milioni finiscono direttamente allo Stato. Solo Roma, come mostra la tabella in pagina, stacca un assegno da 63,2 milioni, mentre Milano ne garantisce 28,8. I 4,3 miliardi che restano alimentano quindi la perequazione, con cui i Comuni “ricchi” sostengono quelli “poveri”.
Il quadro disegnato dai numeri del Viminale è il risultato dei tagli 2015. La differenza più marcata è data dalla spending da 1,2 miliardi imposta dall’ultima legge di stabilità, e assegnata per l’80% in base ai parametri storici e per il resto secondo l’incrocio fra capacità fiscali e fabbisogni standard. Nel gioco intervengono però anche le ricadute 2015 del decreto sul «bonus Irpef» (Dl 66/2014) e della spending review di Monti (Dl 95/2012), che chiedono ai sindaci 288 milioni in più rispetto allo scorso anno. L’ultima variabile, che riguarda 1.800 Comuni, è rappresentata dai 625 milioni che l’anno scorso sono stati distribuiti per finanziare in parte le detrazioni Tasi, e che quest’anno sono ancora in discussione (la partita vale 90 milioni solo a Milano). Il nodo, come concordato ieri dal nuovo incontro fra sindaci e Governo, sarà sciolto entro una settimana dai tavoli tecnici messi in piedi per affrontare le questioni ancora aperte. Tra queste ci sono i tagli alle Città metropolitane di Firenze, Roma e Napoli che, come ha ribadito ieri il Governo, andranno alleggeriti senza modificare i saldi complessivi a carico degli ex enti «di area vasta». «Il Governo - ha ribattuto il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa - non può prendere dal cilindro 27 milioni di euro o usare per le Città parametri diversi rispetto alle Province». Tra le possibilità residue c’è allora quella di finanziare la spesa corrente anche con i proventi dalle dismissioni e con la rinegoziazione dei mutui: l’obiettivo, spiega più conciliante il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta, è «un confronto nel merito per portare le questioni condivise all’interno del decreto enti locali». Gli interventi, che riguarderanno anche le riforme già concordate su Patto di stabilità e sanzioni, saranno probabilmente nello stesso provvedimento chiamato a distribuire fra le Regioni i tagli da 2,3 miliardi sulla sanità.