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5/5 Investimenti dall’estero /Beni a valore normale per le aziende…

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    5/5 Investimenti dall’estero /Beni a valore normale per le aziende trasferite

    Regole più chiare per il trasferimento della residenza dall'estero in Italia per i soggetti che esercitano imprese commerciali. L'articolo 12 dello schema di decreto legislativo concernente la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese introduce una previsione nel nostro ordinamento per stabilire quale valore fiscale attribuire ai beni – attività e passività - della società “entrante” nel nostro Paese; beni che, in quel momento, non hanno ancora un valore riconosciuto nel nostro ordinamento.

    Sino a oggi, sostanzialmente, si sono contrapposte due tesi: il valore fiscale di immissione dei beni nella sfera d'impresa dello Stato italiano è rappresentato dal costo storico di acquisto del bene; il valore è quello corrente che i beni possiedono all'atto dell'ingresso nella sfera d'impresa del nostro Paese.

    In assenza di una previsione di legge, nella prassi amministrativa, a seguito di alcune pronunce dell'agenzia delle Entrate, si era pervenuti, in sintesi, alle seguenti conclusioni: il valore iniziale coincide con il costo originario laddove vi sia continuità giuridica ai fini civilistici; la presa in carico dei beni nel nostro ordinamento deve avvenire al valore normale laddove nello Stato estero il trasferimento dia luogo a una discontinuità giuridica e/o vi sia applicazione di una tassazione in uscita sui plusvalori latenti fino al momento del trasferimento (exit tax), al fine di evitare fenomeni di doppia tassazione.
    Lo schema di provvedimento approvato ieri dal Consiglio dei ministri prevede, come criterio generale, il riconoscimento al valore normale alla data di ingresso in Italia delle attività e passività trasferite, anche in assenza dell'applicazione di una tassazione in uscita nello Stato estero, a condizione che il trasferimento avvenga da Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni.
    Se il trasferimento in Italia avviene da Paesi diversi da quelli “collaborativi” il criterio resta quello del valore normale soltanto se fissato preventivamente mediante un accordo con l'Agenzia.

    In assenza di tale accordo, il valore fiscale è pari, per le attività, al minore tra costo di acquisto, valore di bilancio e valore normale, e al maggiore tra questi per le passività. In sostanza, in mancanza di un accordo preventivo la disciplina prevede un trattamento più penalizzante.
    La scelta del valore normale come criterio generale, adottata dallo schema normativo di attuazione delle delega fiscale, è una soluzione che ben si inquadra all'interno di un provvedimento che tende a rendere più attrattivo il nostro Paese per i soggetti esteri e che, dal punto di vista dei principi generali, risponde a un criterio cardine sottostante il reddito d'impresa in base al quale vanno assoggettati a imposizione tutti i plusvalori maturati in tale regime e non anche quelli maturati al di fuori di esso, laddove per plusvalori conseguiti al di fuori della sfera d'impresa devono intendersi non solo quelli maturati in capo al soggetto non imprenditore ma anche al di fuori del territorio italiano (seppure in regime d'impresa). In sostanza, si tassano in Italia solo i plusvalori ivi maturati e non anche quelli maturati all'estero e qui importati.

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