Dopo cinque anni di battaglie giudiziarie in tutte le sedi, il Comune di Prato ottiene dalla Corte di Londra la dichiarazione di nullità degli swap firmati a partire dal 2002 con Dexia Crediop per coprire un sottostante da 67,5 milioni fra mutui e Boc, rinegoziati nel 2006 dopo che i flussi finanziari erano girati in negativo per il Comune e annullati in autotutela nel 2010 quando una consulenza indipendente aveva sostenuto la presenza di «costi occulti» per 4,9 milioni di euro e una spesa di 9 milioni per una chiusura anticipata. L'annullamento in autotutela era stato respinto in successive pronunce dal Tar, per assenza dei presupposti di legge, ma il Comune aveva nel frattempo stoppato i pagamenti e Dexia si era rivolta alla Corte inglese.
Prato festeggia il fatto di essere il primo Comune italiano a uscire vincitore da un giudizio inglese contro un istituto di credito, ma la notizia chiave è nelle motivazioni, che prendono una strada diversa dai temi consueti dei «costi impliciti» e dalla «convenienza economica»: il giudice inglese ha riconosciuto l'applicabilità al Comune, come a tutti i clienti che non sono operatori qualificati o clienti professionali, del diritto di recesso, perché questo è previsto come «inderogabile» dalla legge italiana. In pratica, il contratto non è valido se non prevede espressamente la possibilità di “pentirsi” entro 7 giorni: i contratti firmati da Prato sono basati sul modello Isda, come la stragrande maggioranza di quelli che negli anni sono stati siglati da enti locali e imprese, e non prevede in modo esplicito il recesso, che è regolato dall'articolo 30 del nostro Testo unico della finanza. La decisione londinese, dunque, può offrire un precedente per tantissimi Comuni.
Il punto è rappresentato dall'applicabilità della legge italiana ai contratti Isda, che pure prevedono esplicitamente Londra come sede delle controversie. Secondo la sentenza, non essendo stata prevista la facoltà di recesso nei contratti, valgono le conseguenze che la legge italiana prevede in caso di omessa previsione: il cliente (ovvero il Comune nel caso di specie) può sempre far valere la nullità dei contratti. Questa regola trova applicazione anche nel caso in cui le parti abbiano scelto la legge inglese come legge del contratto, perché si tratta di una regola inderogabile di diritto italiano.
Il ragionamento svolto dal giudice inglese è abbastanza semplice e chiaro, si snoda lungo un'ampia ricostruzione dei fatti e prende posizione su numerosi punti di diritto italiano. Il giudice inglese ha rilevato che, nel Regno Unito come in Italia, vige la convenzione di Roma I. L'articolo 3, comma 3 della Convenzione prevede che, fermo restando il diritto delle parti di scegliere di assoggettare il contratto a una legge diversa da quella vigente nel Paese in cui è stato concluso, restano valide le norme inderogabili dell'ordinamento di quel Paese. Secondo il giudice inglese, in materia di offerta fuori sede di prodotti finanziari, la disciplina italiana di riferimento (ovvero il Dlgs 58/98) contiene alcune previsioni imperative che restano inderogabili anche se si sceglie di stipulare e documentare operazioni in derivati in base alla legge inglese. Tra le previsioni imperative e inderogabili rientra pacificamente l'articolo 30 del Testo Unico della Finanza, il quale prescrive che in tutti i casi in cui la banca si rechi presso il cliente a proporre la sottoscrizione di investimenti (e a questa attività di sollecitazione segua la stipula di un contratto), il cliente ha diritto di recedere nei sette giorni successivi e questa facoltà va indicata esplicitamente nei moduli contrattuali sottoposti al cliente. In mancanza di questa previsione, i contratti sono nulli e la nullità può essere fatta valere solo dal cliente. Secondo la ricostruzione operata dal giudice inglese, poiché Dexia ha proposto al Comune la sottoscrizione dei sei derivati senza prevedere il diritto di recesso, ne consegue la nullità dei contratti e l'obbligo di restituzione di ogni pagamento ricevuto in base a questi.
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