Norme & Tributi

Cani randagi, il divieto di alimentazione è maltrattamento

  • Abbonati
  • Accedi
tar calabria

Cani randagi, il divieto di alimentazione è maltrattamento

Con una recente sentenza il Tar Calabria ha accolto il ricorso di alcune associazioni animaliste contro un provvedimento che stabiliva il divieto assoluto di alimentare cani e gatti randagi.

Il fatto
Un Consiglio comunale ha deliberato un Regolamento comunale “per la detenzione dei cani e la prevenzione del randagismo”, e l' articolo 5 di questo Regolamento ha stabilito, per chiunque, “il divieto assoluto di alimentare, anche saltuariamente, cani vaganti di proprietà altrui o senza proprietario” ed ha vietato anche di “lasciare alla portata dei cani vaganti rifiuti contenenti residui alimentari, e favorire l' alimentazione di cani di cui non si conosca la proprietà o la provenienza”. Alcune Associazioni per la tutela degli animali hanno proposto ricorso al Tar, sostenendo l' illegittimità di questa norma, per contrasto con la Legge statale 14 agosto 1991, n. 281, e con la legge regionale della Calabria n. 41/1990, entrambe rivolte a favore degli animali e per la prevenzione del randagismo. Il Tar ha accolto il ricorso.

La sentenza
Il Tar Calabria – Catanzaro, Sezione I, con la sentenza n. 1135 del 27 giugno 2015, ha così argomentato:
1) La Legge - quadro statale 14 agosto 1991, n. 281 prevede, per la soluzione del problema dei cani vaganti e randagi, il “controllo delle nascite mediante sterilizzazione”, da effettuare presso i servizi sanitari delle Asl locali;
2) Anche la Legge regionale della Calabria 5 maggio 1990, n. 41, rivolta a stabilire un corretto rapporto tra: uomo, animale ed ambiente, ha promosso la disciplina della protezione degli animali, ed ha istituito “ l' anagrafe canina”, prevedendo anche (articolo 12) che “i cani vaganti catturati, che siano regolarmente “tatuati”, devono essere restituiti al proprietario o detentore”, e che i “cani vaganti “non tatuati” devono essere catturati, con metodi indolori e non traumatizzanti”. I cani vaganti “accalappiati possono essere soppressi, in modo rigorosamente eutanasico, soltanto se gravemente ammalati ed incurabili”;
3) Il legislatore ha disciplinato il randagismo bilanciando la tutela della salute pubblica e l' igiene, e la soluzione è stata individuata nella “sterilizzazione”;
4) In ogni caso sono state vietate forme di maltrattamento degli animali, e tra questi maltrattamenti deve essere ricondotto il divieto di alimentazione;
5) In conseguenza, l'articolo 5 del Regolamento deve essere annullato:

Valutazione della sentenza
La sentenza è corretta, ed ha esattamente interpretato ed applicato le norme vigenti. Ciò che solleva qualche dubbio è la previsione, stabilita dal legislatore, della “sterilizzazione”, che è indubbiamente positiva, ma rischia di rimanere inattuata, per le seguenti ragioni:
a) non vi è, allo stato attuate, un sufficiente personale di vigilanza urbana che possa – specie nei piccoli Comuni – provvedere a ciò;
b) non risulta che si sia – o che sia costantemente aggiornato – il registro della popolazione canina”, previsto dall' Ordinanza ministeriale del 6 agosto 2009;
c) altre ordinanze hanno previsto il “controllo delle nascite dei cani e dei gatti”, il “risanamento dei canili comunali”, nonché la “gestione dei canili e dei gattili” , ma non risulta che tali ordinanze siano state compiutamente attuate in tutti i Comuni italiani.
Le leggi e le ordinanze vigenti prevedono quindi degli obiettivi che sono certamente positivi, ma che non sono realizzabili nell' immeditato, e queste incerte disposizioni legislative lasciano delle incertezze anche sulla responsabilità, in caso di danni provocati da animali randagi. Secondo la Cassazione civile (Sezione III, 28 aprile 2010, n. 10190) ne dovrebbe rispondere soltanto il Comune, mentre appare forse più coerente che la responsabilità sia suddivisa tra il Comune e l' Azienda sanitaria locale, che avrebbe dovuto procedere alla sterilizzazione.

Conseguenze per gli altri Comuni
La sentenza comporta delle conseguenze anche per gli altri Comuni, che dovranno rivedere il loro Regolamento sul randagismo e sugli animali di affezione sulla base di quanto stabilito dal Tar. Il problema è però più ampio, e sarebbe opportuna una revisione legislativa statale della materia, con la precisa indicazione degli animali che possono essere alimentati e quelli per i quali (ad esempio, i colombi) vige un divieto.

© Riproduzione riservata