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Scuole paritarie e obblighi Imu: riparte la polemica

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IL CASO

Scuole paritarie e obblighi Imu: riparte la polemica

  • –di G.Tr.

«Aumenti delle rette o chiusura delle scuole». Suona così l’allarme bipartisan, rilanciato da esponenti sia del centro-destra di governo (Gabriele Toccafondi, Ncd) e di opposizione (Elena Centemero, Forza Italia) sia di Scelta Civica (Bruno Molea) e del Pd (Edoardo Patriarca) sulle sentenze 14225 e 14226 (si veda Il Sole 24 Ore del 15 luglio) con cui la Cassazione ha stabilito che le scuole paritarie erano soggette a Ici perché «idonee a configurare un’attività commerciale». Le pronunce sfociano in un principio per il quale l’obbligo di versamento scatta quando l’attività svolta dal proprietario dell’immobile è «potenzialmente commerciale», a prescindere dal fatto che i bilanci siano in utile o in perdita. A rendere «potenzialmente commerciale» l’attività sono le tariffe (le rette) che mirano a coprire il costo del servizio.

Le decisioni della Cassazione riguardano la vecchia Ici, e chiudono un lungo contenzioso fra il Comune di Livorno e due istituti gestiti da suore, ma è il principio a essere “esportabile” anche nell’Imu. Nel nuovo regime, dopo la sofferta riforma attuata da Monti per evitare di incappare nell’infrazione Ue sulle esenzioni per il “non profit”, i parametri per dividere chi deve pagare l’imposta e chi può evitarla sono scritti nel decreto 200/2012 del ministero dell’Economia: nel caso delle scuole, il documento ministeriale ha pescato un criterio “inedito”, legato al «costo medio per studente» pubblicato dal ministero dell’Istruzione (ma misurato dall’Ocse) per i diversi gradi di studio: quando la tariffa media è inferiore al costo medio, l’Imu non si paga.

Il parametro non è troppo severo, dal momento che il «costo medio» oscilla tra i 5.739,17 euro della scuola dell’infanzia e i 6.914,31 euro delle superiori, e quindi garantisce l’esenzione a un’ampia fascia di istituti. Questo criterio, però, è decisamente diverso da quello indicato dalla Cassazione, perché basta che la tariffa “tenda” a coprire il costo del servizio per rendere «commerciale» l’attività. I giudici, se interrogati di nuovo, potrebbero ribadire il loro principio, perché il parametro del costo medio è scritto in un decreto ministeriale e non nella legge, che si limita a richiamare il carattere «non commerciale» delle attività che meritano l’esenzione: in questo senso la pronuncia è «pericolosa», ma è un pericolo che potrà manifestarsi solo fra qualche anno.

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