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Immigrazione, rimesse per 4mila miliardi dal 2002 sono tornate verso i…

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Diritto

Immigrazione, rimesse per 4mila miliardi dal 2002 sono tornate verso i Paesi più poveri

L'immigrazione, vista con gli occhi di oggi, porta i tratti di un moto nuovo e antico al medesimo tempo, ma nient'affatto inatteso e, soprattutto, non coincidente con una presunta o inspiegabile “emergenza”. La globalizzazione, nel suo significato funzionale, implica la riorganizzazione sul piano internazionale dei sistemi e delle strategie che guidano la produzione. Ma la globalizzazione non è soltanto il transitare frenetico tra le diverse frontiere di beni, di servizi e di capitali finanziari.

Essa non è riducibile ai flussi alimentati dall'affermarsi del libero commercio e dalla ridefinizione delle reti produttive. Con i beni e con i capannoni industriali si muovono e si spostano anche le persone, cioè il capitale umano. La migrazione antica scopre così proprio nella globalizzazione il ponte ideale che la collega alle migrazioni moderne. Di fatto dunque, il migrare è indissolubilmente connesso al processo di globalizzazione, continuo, di cui ogni singolo confine, o posto di frontiera, è parte, per il semplice fatto di esserci.

Detto questo, l'immigrazione ha due risvolti numerici: le persone, decine di milioni, in moto perpetuo e, sull'altro versante, flussi crescenti di denaro. Una contabilità che i dati della Banca Mondiale, e di altri organismi, fissano in circa 4mila miliardi di dollari che nel periodo 2002-2014 si sono dematerializzati poi saldarsi a decine di economie in via di sviluppo. L'effetto è stato quello di contenere l'emorragia di liquidità di cui certi Pesi soffrono e al contempo la carenza dei consumi. Di fatto, le rimesse di milioni di immigrati hanno garantito nel tempo l'affermarsi d'un equilibrio, precario, ma funzionale. Miliardi che si sono innervati sui conti delle famiglie, non spersi tra i bilanci dei potenti o peggio tramutatisi in ricche somme da ricollocare in zone più sicure. No, per la maggior parte queste somme hanno funzionato e funzionano come inibitori di crisi ancor più potenti ed esplosive. Visto sotto questa veste, il flusso di immigrati che ricopre oramai l'Europa nella sua interezza di confine, acquista un valore diverso.

Remittances Economy o rimesse senza fine. A questo riguardo non mancano certo i numeri. Per iniziare, secondo alcuni dei maggiori centri di ricerca e di analisi che si occupano di migrazioni, per esempio la Banca Mondiale o la stessa Ocse, gli individui che oggi vivono al di fuori del loro Paese d'origine sono nel mondo circa 250 milioni e di questi all'incirca 225milioni rientrano nelle due fattispecie dei profughi, dei rifugiati e dei migranti, mentre i restanti sono in realtà individui con cittadinanza e origini riconducibili a Paesi ricchi, o industrializzati, che scelgono liberamente, per lavoro o anche per ragioni strettamente di vita, di trasferirsi in un altro Paese, spesso in via temporanea.

Sul versante delle rimesse dai Paesi ricchi indirizzate alle realtà in via di sviluppo e alle regioni più povere del Pianeta, le ultime stime pubblicate dalla Banca mondiale ne fissano il profilo contabile, per il 2014, in oltre 430 miliardi di dollari. Miliardi dunque, che transitano dai mercati ricchi verso quelli di taglia più modesta e che contribuiscono in modo piuttosto rilevante, certo più di quanto fanno gli aiuti istituzionali stabiliti dalla comunità internazionale, al sostegno delle finanze e dell'economia dei Paesi che affollano il suk globale dei mercati in via di sviluppo. Naturalmente, si tratta di stime per quanto analitiche, rendicontate e metriche nella loro definizione (vedi grafico).

Le risorse monetarie indirizzate, con modalità e strumenti piuttosto differenti, verso i rispettivi Paesi d'origine da parte di centinaia di milioni di immigrati sono aumentate del 375% dal 2002 al 2014, passando dai 116 miliardi di dollari tesaurizzati all'inizio del nuovo millennio fino alla quota lunare, ma non ancora stellare, di 436 miliardi. Nel medesimo periodo, il flusso legato al passaggio delle ricchezze, di taglia media modesta, accumulate dagli stranieri all'estero e ricondotte all'interno degli Stati più poveri e depressi del Pianeta ha esibendo un'accelerazione marcata decretando di fatto la nascita d'una nuova forma di economia, remittances-economy.

Naturalmente, diverse sono le ragioni all'origine del grande balzo in avanti dei volumi e dei flussi di finanza legati alle rimesse degli immigrati, almeno in riferimento ai trend registrati nel corso del quinquennio passato. Innanzitutto, la sincronizzazione dei tempi rivela come l'11 settembre abbia rivestito un ruolo nient'affatto marginale nell'escalation contabile delle rimesse. Infatti, non è un caso che tra i diversi e molteplici effetti ispirati dall'attacco al cuore della potenza globale, ne sia disceso anche un evidente riflesso sul versante puramente finanziario, in particolare riguardo all'individuazione, all'intercettazione e alla tracciabilità dei flussi monetari. L'obiettivo è di evitare il ripetersi di transiti sospetti di fondi ingenti, ma dalla dubbia provenienza, destinati ad alimentare e a rifornire l'infrastruttura oscura dei nuovi terrorismi internazionali. Il risultato è che l'aumento dei controlli sui tesori terrestri e il monitoraggio più assiduo dei loro transiti hanno comportato una misurazione più realistica delle ricchezze che attraversano le frontiere, alle volte dribblandole.

Il moltiplicatore dell'economia multilingue. All'origine dell'attuale rincorsa delle rimesse degli immigrati, oltre alla maggiore abilita' delle autorità nazionali, in particolare degli Stati Uniti, nel monitorarne e registrarne taglia e movimenti, altri fattori hanno contribuito a sostenerne la crescita effettiva. Innanzitutto, la svalutazione del dollaro che, soprattutto riguardo all'Euro, ha perduto progressivamente terreno nel corso del quadriennio passato determinando sul versante puramente tecnico del calcolo dei volumi monetari delle rimesse, la cui divisa ordinaria coincide con quella statunitense, una spinta aggiuntiva stimabile in almeno 15 miliardi.

Ma lo stimolo maggiore che, dal 2001 al 2014, ha condotto al balzo in avanti della finanza degli immigrati deriva da due elementi strettamente connessi al mutamento delle condizioni economiche e sociali che ne governano il fenomeno alla base. In particolare, il miglioramento dei redditi e dei patrimoni riconducibili ai singoli individui che, come una sorta di effetto domino, ha contribuito a risvegliare l'attenzione degli operatori internazionali, costantemente votati ad intercettare e a guidare nuovi e inesplorati flussi legati al trasferimento di ricchezze nient'affatto trascurabili.

E così l'economia in versione migrantes ha fatto il suo esordio tra le agende dei maggiori protagonisti della finanza globale. Il risultato più evidente di questa migrazione contabile è coinciso con la diminuzione piuttosto netta dei costi legati ai servizi di intermediazione finanziaria offerti agli immigrati, ora clienti ambiti dai diversi attori che li gestiscono. Al medesimo tempo, si sono anche moltiplicate le opportunità, per chi ha scelto di ridisegnare il suo futuro oltre confine, di indirizzare i risparmi verso forme speciali d'investimento come, per esempio, l'acquisto di una proprietà e l'avvio di un'attività nei rispettivi Paesi d'origine, naturalmente beneficiando di prestiti e di soluzioni finanziarie privilegiate in relazione a quanto offerto ordinariamente ai residenti. A questo riguardo, stati come Pakistan, Ecuador, Bangladesh e Filippine hanno visto le rispettive Banche centrali, quindi dei soggetti istituzionali, avviare iniziative mirate rivolte ad intercettare e a stimolare il rientro dei risparmi degli immigrati indirizzandoli verso settori specifici dell'economia interna e cercando, tramite l'apertura di uffici “dedicati”, di offrire consulenza e competenza e, naturalmente, di rassicurare chi oramai da anni all'estero conserva nella sua memoria emotiva, oltreché storica, le immagini di Stati instabili, lontani dal futuro e incapaci di garantire il presente.

Dall'analisi si comprende come le diverse componenti, dall'implodere dell'11 settembre all'ingresso del business sui bilanci degli immigrati, hanno rivestito invariabilmente un ruolo significativo nel riconfigurare il profilo contabile dell'economia dei migrantes. In fondo, è come se una sorta di moltiplicatore, applicato in ambito socio-economico e geopolitico, abbia contribuito a restituire visibilità e rilievo ad un fenomeno trasversale che non si arresta su un numero ristretto di confini riconducibili alle tradizionali potenze economiche del Pianeta e ai loro interessi. Quindi non sorprende il fatto che in Europa la quota maggiore di occupati stranieri di recente immigrazione, rispetto alla forza lavoro complessiva, non è prerogativa ne' del Regno Unito, né di Francia o Germania, e nemmeno dell'Italia, piuttosto il primato appartiene in esclusiva all'Islanda.

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