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Sconfiggere il «cinismo» per uscire dalla crisi

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l’analisi

Sconfiggere il «cinismo» per uscire dalla crisi

C'è una parola inedita nel vocabolario delle celebrazioni dell'anno giudiziario: «cinismo». L'ha pronunciata, a Roma, il Procuratore generale della Corte d'appello Giovanni Salvi ed è la chiave di lettura, non solo della fase storica che stiamo vivendo, ma anche della crisi della giustizia, ormai spogliata del pluridecennale conflitto con la politica. «Cinismo dilagante», ha detto Salvi, mettendo il dito sulla piaga di un atteggiamento culturale che attraversa la politica, alcuni settori della magistratura, dell'avvocatura e, purtroppo, larghi strati della popolazione, anche giovanile. Il «cinismo» è, a volte, frutto della sfiducia ma più spesso è causa ed effetto dell'immobilismo, alibi del disimpegno e della deresponsabilizzazione, risposta egoistica agli altrui egoismi, personali o corporativi. È una realtà con cui fare i conti, per restituire credibilità alle istituzioni, in particolare alla giustizia, arrestando la progressiva caduta di fiducia.

Il cinismo si combatte con un gioco di squadra istituzionale e individuale, che consenta di rendere visibile, concreta, efficace, la risposta giudiziaria contro l'illegalità e il diffuso senso di impunità. «Cosicché - lo dice bene Salvi - la legalità possa essere percepita non come una vuota parola ma come affermazione dei diritti e dei doveri del cittadino». Ciò significa, però, «presentarsi con le carte in regola».

Dunque, smettendola di annunciare, rinviare o annacquare riforme importanti, come quelle su prescrizione, unioni civili, depenalizzazione dell'immigrazione clandestina, per rincorrere - in quest'ultimo caso - le paure irrazionali dell'opinione pubblica, fomentando una «percezione» di sicurezza smentita da qualunque dato e dagli addetti ai lavori. Occorrono risposte. Coerenti e concrete.

È di due giorni fa una (giusta) reprimenda del ministro Orlando al suo partito per aver lasciato passare nell'opinione pubblica un'idea «forcaiola» della giustizia, per esempio in occasione delle misure sul sovraffollamento carcerario e sulle misure alternative, approvate «quasi sottovoce», altrimenti «anche i nostri non capiscono». Così, ha ricordato Orlando, sono nate negli ultimi anni la legge sulla droga e il reato di immigrazione clandestina, «che dobbiamo superare».

Molti ritardi o inerzie legislative sono state colmate, nella storia, dai giudici, a cominciare dalla Corte costituzionale che, appena insediata, cancellò i residui della legislazione fascista ancora vigente. Ingiustificata l'accusa di «supplenza»: il mondo cambia e i cittadini, le imprese, devono poter trovare una tutela, anche di fronte ai nuovi diritti e sempre nel perimetro costituzionale. I giudici devono saper, e poter, dare risposte efficaci, in termini di qualità e di tempestività, anche se scomode o impopolari. Senza cavalcare il consenso popolare o coltivare idee eroiche della propria funzione. Se davvero la nebbia dello scontro politico si è diradata, questo è il tempo per costruire, assumendosi le rispettive responsabilità per sconfiggere il «cinismo dilagante». Che in fondo è il peggior nemico di una solida democrazia.

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