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Il Pg della Cassazione: falso in bilancio anche per le «stime»

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Giustizia

Il Pg della Cassazione: falso in bilancio anche per le «stime»

La riforma del falso in bilancio approvata l'anno scorso dal governo Renzi non ha parzialmente abrogato la normativa precedente sul “falso valutativo”. Che dunque continua ad essere punibile. È questa la posizione che la Procura generale della Cassazione sosterrà stamattina davanti alle Sezioni unite della Suprema corte ma che ha già messo nero su bianco in una memoria depositata nei giorni scorsi in vista di questo atteso appuntamento. Secondo l'Ufficio presieduto da Pasquale Ciccolo e rappresentato oggi dal sostituto Pg Nello Stabile, l'interpretazione letterale e sistematica dell'articolo 2621 del Codice civile sulle «false comunicazioni sociali» - come modificato dalla legge 27 maggio 2015 n. 69 che ha eliminato l'inciso «ancorché oggetto di valutazioni» – dimostra che c'è «continuità normativa e completa sovrapponibilità» tra il testo anteriore e quello successivo alla riforma, contrariamente a quanto ha sostenuto la Cassazione il 16 giugno 2015 (sentenza n. 33774) e poi, ancora, l'8 gennaio 2016 (con la sentenza n. 6916).

La Procura sposa infatti le conclusioni di una terza sentenza pronunciata dalla Corte a novembre 2015 (n. 890), che ha escluso l'effetto parzialmente abrogativo della riforma.
Sul verdetto delle sezioni unite (presiedute dal primo presidente Gianni Canzio, relatore Maurizio Fumo) sono puntati i riflettori del mondo imprenditoriale ma anche di quello politico. In particolare del governo, che con la riforma del falso bilancio in “discontinuità” con le norme del 2002 targate Berlusconi si era giocato la propria credibilità sia nel contrasto alla corruzione (il falso in bilancio è considerato un reato-spia di possibili dinamiche corruttive) sia nella volontà di restituire centralità alla “trasparenza societaria” come interesse meritevole di tutela.

All'origine del contrasto esploso in Cassazione c'è infatti una norma ambigua frutto di un emendamento governativo (mai discusso in Parlamento e per certi aspetti misterioso) che, nel riformulare l'articolo 2621, a proposito delle «false comunicazioni sociali» dà rilevanza penale ai «fatti materiali» ma non richiama più l'inciso «ancorché oggetto di valutazioni», presente invece nella precedente formulazione. Un'amputazione che ha spinto la Cassazione, per ben due volte, a sostenere che la nuova norma è più favorevole a quella del 2002 e, quindi, applicabile retroattivamente con effetti parzialmente abrogativi. Effetti «dirompenti», li ha definiti la stessa Corte nell'unica sentenza contraria alla parziale abrogazione del falso valutativo o estimativo, anche perché - come si legge nelle relazioni redatte dall'Ufficio del Massimario della Corte - l'opzione della parziale abrogazione sarebbe «destinata a emergere in ogni caso in sede di esecuzione ex articolo 673 del Codice di procedura penale». Vale a dire: non solo tutti i processi in corso verrebbero chiusi perché «il fatto non sussiste» non essendo più considerato reato, ma, in più, tutte le sentenze di condanna già passate in giudicato verrebbero revocate. Un “colpo di spugna” non sanabile in alcun modo. Neppure con un decreto legge che volesse ripristinare la punibilità del falso valutativo.

A un decreto aveva accennato il ministro della Giustizia Andrea Orlando all'indomani della prima sentenza della Cassazione, riservandosi ogni iniziativa dopo il deposito della motivazione. Poi il governo ha taciuto, anche perché la sentenza successiva è stata nel segno della continuità normativa, salvo essere smentita a gennaio di quest'anno. Peraltro, il ventilato decreto legge non potrebbe che avere effetto soltanto per il futuro (a parte la delicatezza di leggi interpretative in materia penale, spesso quelle che vengono spacciate per tali sono considerate in realtà innovative) e quindi non risolverebbe il problema del “colpo di spugna”. Ecco perché il verdetto delle Sezioni unite finirà per avere anche una valenza politica oltre che giuridica. Di certo sarà indispensabile per garantire certezza e prevedibilità - anzitutto al mondo delle imprese - in un contesto legislativo in cui da troppo tempo la politica scarica sulla magistratura l'onere della chiarezza.

Neppure i lavori preparatori, in questo caso, hanno offerto una chiave di lettura al giudice. L'unica cosa chiara che emerge, osserva il Massimario, è «la scelta» del legislatore di rimettere direttamente ai giudici il compito di stabilire la linea di confine tra ciò che costituisce reato e ciò che è penalmente irrilevante. Di qui l'inevitabile, o quasi, contrasto fra sentenze. Entrambe avvertono la necessità di delineare un concetto di «valutazione» di bilancio penalmente rilevante: quella sulla «continuità», stabilendone la punibilità in ogni caso e offrendo copertura penale a tutti i tipi di condotte, anche omissive, che si concretizzano in esposizione di fatti o valutazioni false; quella sull'«abrogazione parziale», agganciandola alla categoria dei «fatti materiali rilevanti», seppur ampliando l'area delle condotte punibili, nel tentativo di ridurre il danno. A questo punto, saranno le Sezioni unite a dire che cosa deve intendersi per «falso valutativo».

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