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Pensioni, le ipotesi allo studio per la flessibilità in uscita

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Pensioni, le ipotesi allo studio per la flessibilità in uscita

Gli ultimi interventi per rendere più flessibile il pensionamento anticipato sono stati adottati con la Stabilità 2016 e per il Governo questa rimane la legge utilizzabile per eventuali nuovi correttivi. Ma esiste anche un’opzione anticipo rispetto alla “deadline” del prossimo mese di ottobre (si veda Il Sole24Ore del 31 marzo) e su questa stanno studiando i tecnici di palazzo Chigi (il pool di esperti guidato dal sottosegretario Tommaso Nannicini), in stretto contatto con i colleghi del Lavoro e dell’Economia.

L’intervento infra-annuale sulle pensioni prenderebbe corpo solo se le coperture economiche per la maggior spesa innescata venissero garantite senza impatti sui saldi di finanza pubblica. Esercizio non facile, naturalmente, e che potrebbe passare per un coinvolgimento del sistema creditizio e dell’Inps se non, anche, dell’intero comparto della previdenza integrativa. Trovata questa sorta di “copertura ponte”, la nuova flessibilità potrebbe arrivare da un mix di interventi non ancora strutturali. Il primo: una nuova estensione della cosiddetta Opzione donna, vale a dire il regime sperimentale nato nel 2004 e appena rilanciato (consente alle lavoratrici dipendenti l’uscita anticipata con 57 anni e 35 di contributi ma con ricalcolo contributivo della pensione). Il secondo: un prestito pensionistico riconfigurato. Questo secondo modello è analizzato anche con un occhio all’attuazione dell’altra agevolazione varata con la Stabilità 2016 e che consente ai dipendenti del settore privato con contratto standard e maturazione del requisito di vecchiaia entro il 2018 di optare per un part-time con l’intesa che l’azienda versi al lavoratore i contributi che sarebbero stati a suo carico in caso di full time e con un’aggiuntiva contribuzione figurativa computata sulla prestazione non effettuata.

Soluzioni più strutturali che riguardino i requisiti di età o contributivi partendo dai disegni di legge presentati in Parlamento o dalla proposta avanzata dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, accomunate dalla formula dell’anticipo con penalizzazione (2-3% l’anno rispetto alla vecchiaia) restano naturalmente in campo. Così come altri interventi di “semplificazione” dei meccanismi di uscita con ricongiunzioni non onerose. Ma con tutti i problemi di copertura finanziaria che, anche se si scegliesse la strada della legge di Bilancio 2017, (da quest’anno non si chiamerà più legge di Stabilità) dovrebbero prima essere risolti in sede europea. Bruxelles guarda con attenzione massima la traiettoria della nostra spesa pensionistica che, come ha ricordato ancora nei giorni scorsi la Corte dei conti, è stata messa sotto controllo dalle riforma degli ultimi anni, senza le quali oggi sarebbe più elevata di circa 30 miliardi l’anno (quasi due punti di Pil).

Dal 2017 avrebbe dovuto essere ripristinato il meccanismo di indicizzazione delle pensioni all’inflazione in vigore prima delle ultime strette decise per tagliare la spesa (ossia perequazione al 100% degli assegni fino a tre volte il minimo, del 90% per quelli tra tre e cinque volte il minimo e del 75% per quelle oltre le cinque volte). Ma il Governo ha deciso di prorogare il regime provvisorio (e più penalizzante per gli assegni elevati) su cinque scaglioni di reddito in vigore nel 2015 fino a tutto il 2018. I sindacati hanno annunciato nuove mobilitazioni anche su questo fronte e sarà da vedere se in legge di Bilancio si deciderà di intervenire. Vale ricordare che il 1° gennaio di quest’anno, a fronte di un indice Istat negativo sui prezzi del 2015 non è stata riconosciuta alcuna rivalutazione degli assegni. In Stabilità , per evitare rivalutazioni negative determinate dalla deflazione, è stato confermato l’aggancio delle pensioni all’inflazione base del 2014 senza tagli sul 2015, con un conguaglio previsto, appunto nel 2017.

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