Norme & Tributi

Il confronto dipende dal tipo di verifica

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Diritto

Il confronto dipende dal tipo di verifica

  • –Dario Deotto

Il principio del contraddittorio preventivo non può dipendere né dal tipo di tributo, né dal luogo in cui l’attività istruttoria viene svolta perché quello che rileva è “quello che si fa” non “dove lo si fa”.

Posto che non vi possono essere dubbi sul fatto che il contraddittorio preventivo deve ricevere uguale trattamento e riconoscimento per tutti i tributi e tutti i procedimenti, quello che occorre considerare è l’oggetto dell’attività istruttoria che determina l’attivazione del contraddittorio.

Bisogna partire dal presupposto che a livello comunitario non esiste un obbligo di contraddittorio preventivo generalizzato, ma l’invalidità dell’atto di accertamento si realizza se il contraddittorio non viene attivato e «il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso». In sostanza, secondo la giurisprudenza comunitaria, chi eccepisce il difetto di contraddittorio ha l’onere di allegare che, se il contraddittorio vi fosse stato, egli avrebbe detto qualcosa. Detto ancora in altri termini, a livello comunitario non è sufficiente dire «non c’è stato il contraddittorio» perché l’atto successivo risulti invalido, ma occorre rappresentare che, se il contraddittorio vi fosse stato, il contribuente avrebbe potuto portare una serie di elementi i quali avrebbero determinato una decisione diversa o, addirittura, il fatto che la decisione di emettere l’atto non sarebbe stata presa.

Si tratta di una conclusione la quale conferma che non esiste, né per i tributi armonizzati, né per quelli “interni”, un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo. Da questo presupposto, si possono svolgere delle ulteriori riflessioni. Vi sono, infatti, delle situazioni in cui il contribuente, in sede di contraddittorio, non può oggettivamente fornire alcun tipo di elemento che possa determinare una soluzione diversa da quella derivante dall’attività preliminare all’atto impositivo. Il riferimento va a quelle situazioni che muovono da fatti certi. Si pensi al caso di una società di persone con un reddito di 100, i cui soci risultano, al 50%, Bianchi e Rossi. Se, ad esempio, Bianchi non dichiara il reddito di 50 che gli è stato attribuito per trasparenza, non si vede il senso di attivare nei suoi confronti alcun contraddittorio, anche perché Bianchi non avrebbe nulla da dire o, comunque, nulla che potrebbe determinare un accertamento diverso rispetto ai 50 non dichiarati. In altri termini, si è dell’avviso che se l’istituto dell’accertamento parziale di cui all’articolo 41-bis del Dpr 600/1973 (e dell’articolo 54, comma 4, del Dpr 633/1972) venisse applicato in base alla sua effettiva ratio – che è quella di tradurre in un atto impositivo solo elementi certi (come nell’esempio del reddito non dichiarato dal socio Bianchi) – per questo tipo di rettifiche non vi sarebbe l’obbligo del contraddittorio preventivo.

L’obbligo del contraddittorio deve invece certamente sussistere – per tutti i tributi, sia armonizzati che non, pena l’invalidità del successivo provvedimento accertativo - quando l’atto di accertamento risulta preceduto da un’attività istruttoria primaria, cioè da quella attività consistente nell’esercizio dei poteri dell’amministrazione finalizzati all’acquisizione di fatti rilevanti ai fini dell’imposizione. In sostanza, si tratta dell’attività che risulta disciplinata, nell’ambito dell'imposizione diretta e dell’Iva, rispettivamente, dagli articoli 32 e 33 del Dpr 600/1973 e 51 e 52 del Dpr 633/1972. Qui sì che si realizza senz’altro la necessità di essere sentiti preventivamente affinché l’ufficio, nell’ottica dei principi della buona amministrazione e del giusto procedimento, nonché dei principi comunitari, tenga conto di elementi che possono determinare una soluzione diversa da quella che si avrebbe utilizzando acriticamente i risultati dell’attività istruttoria.

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