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Transfer price, rettifiche da provare

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Diritto

Transfer price, rettifiche da provare

Spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare la fondatezza delle rettifiche di transfer pricing, con la conseguenza che, laddove tale onere non sia stato assolto dall’Agenzia, l’atto impositivo emesso è illegittimo e va annullato. È quanto affermato dalla commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna con la sentenza 2 febbraio 2016, sezione 11, n. 258 (presidente e relatore Madonna), che segna un ulteriore punto a favore del contribuente nell’ambito delle controversie sui prezzi di trasferimento.

Ma andiamo con ordine. La vicenda trae origine da un avviso di accertamento con il quale la direzione regionale dell’Emilia Romagna contesta ad una società di avere posto in essere operazioni con società controllate estere applicando prezzi inferiori al valore normale, in asserita violazione dell’articolo 110, comma 7 del Tuir. In particolare, l’ufficio ridetermina il valore normale delle operazioni esaminate adottando il metodo di comparazione dei margini di utile netto (il Transactional Net Margin Method - Tnmn), ritenuto più affidabile del metodo del confronto del prezzo (il Comparable Uncontrolled Price Method – Cup) adottato dal contribuente.

La società ricorre in giudizio lamentando, tra l’altro, l’illegittimità della rettifica in quanto insanabilmente carente sotto il profilo probatorio, ribadendo la correttezza del proprio operato anche alla luce della documentazione prodotta, recante la comparazione dei prezzi praticati alle società controllate estere con quelli praticati nei confronti di soggetti indipendenti. Nonostante i giudici di primo grado diano ragione al contribuente, l’Agenzia ricorre in appello, ma la commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna conferma in toto la sentenza di primo grado.

La commissione ricorda preliminarmente che la normativa sul transfer pricing è finalizzata ad evitare che, all’interno dei gruppi di società, vengano effettuati trasferimenti di utili mediante la cessione di beni a prezzi inferiori ovvero superiori al loro valore di mercato (“valore normale”), così da sottrarli alla tassazione italiana in favore di regimi fiscali esteri meno gravosi.

Pertanto - prosegue la Commissione - tale disciplina costituisce una clausola antielusiva/antiabusiva (richiamando al riguardo alcuni precedenti dalla Corte di cassazione; sentenze 11949/2012, 22023/2006 e 11226/2007), con la conseguenza che spetta all’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto legittimanti la rettifica del valore normale dei beni ceduti.

Nel caso esaminato, l’ufficio non aveva assolto l’onere della prova e non vi erano ragioni per discostarsi dalle risultanze della comparazione di prezzi operata dalla società contribuente (con il metodo del Cup) in favore del metodo del Tnmn proposto dall’Agenzia.

Ciò, anche in considerazione del fatto che, in ordine alla verifica del valore normale di una transazione, la stessa amministrazione finanziaria, nel corpo della circolare n. 32 del 22 settembre 1980, aveva suggerito l’utilizzazione del metodo del Cup, ritenendo il metodo del Tnmn «poco consigliabile per la sua notevole approssimazione e per la sua arbitrarietà».

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