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Cassazione, «doppio binario» per l’uso del Trojan

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intercettazioni

Cassazione, «doppio binario» per l’uso del Trojan

  • –di D.St.

“Doppio binario” per l’uso come prova del materiale intercettato mediante Trojan horse, il virus informatico autoinstallante attivato su pc, smartphone, tablet, che può captare ogni forma di comunicazione (whatsapp, skype, telegram, instagram, facebook, oltre a e-mail e sms) ma anche videoregistrare il bersaglio, ovunque vada. Le sezioni unite della Cassazione ieri hanno dato via libera a quella che ormai è la nuova frontiera delle intercettazioni, nella prevenzione e repressione della criminalità.

Ma si tratta di un via libera limitato ai reati di criminalità organizzata, mafia e terrorismo in testa. Peraltro, soltanto oggi si saprà se nella nozione di «criminalità organizzata» possano rientrare anche i reati di corruzione, nella forma più grave dell’associazione. In caso di risposta negativa, per l’estensione occorrerebbe una modifica legislativa. E il “luogo” potrebbe essere la delega sulle intercettazioni (all’esame del Senato) oppure la proposta di legge numero 3470, appena depositata alla Camera da Scelta Civica - «Modifica all’articolo 266 bis Cpp in materia di intercettazioni e comunicazioni informatiche o telematiche» - che ripropone un emendamento del governo presentato senza successo durante la conversione in legge del decreto antiterrorismo n. 18 del 2015, all’indomani della strage di Parigi a Charlie Hebdo. «Troppo invasivo» fu la risposta del Parlamento e del Garante della privacy.

L’invasività del Trojan rispetto alla privacy è, infatti, il problema principale di questa tecnica di intercettazione. E compito del giudice è trovare un bilanciamento con le esigenze investigative. La Cassazione si è spaccata e perciò, ieri, sono intervenute le sezioni unite penali, presiedute dal primo presidente Gianni Canzio. La Procura generale ha sostenuto la tesi favorevole all’uso come prova del materiale raccolto mediante Trojan, ma solo nei processi di criminalità organizzata, qual era quello di ieri (si veda Il Sole 24 ore del 24 aprile). Nella stessa direzione sono andate le sezioni unite ma il deposito del dispositivo non è stato seguito dall’«informazione provvisoria», rinviata ad oggi, dalla quale si capirà com’è stato sciolto il nodo della nozione di «criminalità organizzata».

Intanto, però, c’è un punto fermo, che fa cadere il precedente contrario della Cassazione del 2015 (sentenza n. 27100), che escludeva l’utilizzabilità come prova delle captazioni mediante virus informatico, in mancanza di una preventiva indicazione dei luoghi da parte del giudice. Principio non applicabile, dicono le sezioni unite, ai processi di mafia e terrorismo poiché per essi l’articolo 13 del decreto antimafia del 1991 (n. 152) introduce una deroga esplicita al divieto di intercettare nei luoghi di «privata dimora» (salvo si stia consumando un reato). È la gravità del reato associativo a giustificare la deroga, che vale, quindi, sia per le intercettazioni tradizionali che per quelle effettuate con la tecnica del Trojan.

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