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Cassazione: «virus-spia» utilizzabile per tutte le…

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Indagini informatiche

Cassazione: «virus-spia» utilizzabile per tutte le associazioni a delinquere

La lotta alla corruzione, oltre che a terrorismo e mafia, d’ora in poi avrà al suo arco una freccia in più sul fronte delle intercettazioni, e cioè la possibilità di usare pienamente il cosiddetto Trojan horse, il «captatore informatico» che, installato su pc, smartphone, tablet, consente di registrare comunicazioni e conversazioni ovunque, in luoghi pubblici e privati. Il via libera arriva dalle sezioni unite penali della Cassazione che, pur limitando alla «criminalità organizzata» il ricorso a questo strumento investigativo tanto efficace quanto invasivo, ha però chiarito che nella nozione di criminalità organizzata rientrano «tutti i delitti comunque facenti capo a un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato». Dunque, non solo la corruzione, ma anche una truffa, una concussione, se sono il fine di un’organizzazione strutturata di tipo criminale, così come prevista dall’articolo 416 del Cp (associazione a delinquere). Mafia capitale, ad esempio, o qualunque altra inchiesta in cui i reati di corruzione facciano capo a una centrale organizzativa.

Il “passo in più” delle sezioni unite (presiedute dal primo presidente Gianni Canzio, relatore Romis) è stato reso noto ieri con il deposito dell’«informazione provvisoria» relativa a un processo per mafia deciso giovedì. La Corte, accogliendo le conclusioni della Procura generale, ha ritenuto legittime e utilizzabili le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un Trojan, ovunque vengano effettuate, quindi senza bisogno della preventiva indicazione dei luoghi, limitatamente, però, ai procedimenti di criminalità organizzata. Ma mentre la Procura aveva dato una lettura restrittiva della nozione di criminalità organizzata, le sezioni unite hanno optato per un’estensione, includendovi, appunto, non solo i reati indicati nell’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, ma qualunque delitto contestato nella forma dell’associazione a delinquere. Quindi, anche la corruzione.

Si tratta di un passo verso l’equiparazione della corruzione alla mafia, quanto all’armamentario investigativo, come vanno chiedendo molti magistrati. Bisognerà vedere se governo e Parlamento avranno lo stesso passo, per esempio sul fronte aperto della prescrizione. Certo è che la soluzione scelta dalle sezioni unite, pur essendo frutto di un’interpretazione di norme vigenti - l’articolo 13 del decreto antimafia del 1991, alla luce dei principi della Costituzione e della Convenzione europea nonché della decisione quadro dell’Ue 2008/841), sembra farsi carico della gravità anche dell’emergenza corruzione, «male gravissimo della nostra società che inquina le fondamenta del vivere civile - ha detto giovedì il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - va combattuta senza equivoci o timidezze». E tuttavia, questa sentenza allarmerà chi contesta l’uso del Trojan per la sua eccessiva pervasività nella sfera privata. Non andrà a genio a chi accusa gli inquirenti di usare le ipotesi associative con disinvoltura soltanto per sfruttare l’armamentario che la legge mette a disposizione dei reati associativi, salvo poi circostanziare le accuse iniziali. Ma soprattutto, risulterà indigesta a chi vorrebbe limitare il ricorso alle intercettazioni e la loro divulgazione, visto che il Trojan consente di raccogliere una massa enorme di informazioni sulla vita dell’intercettato, e non solo.

E tuttavia, di fronte alle minacce del terrorismo, della mafia e della corruzione, e alla capacità dei criminali di sfruttare le tecnologie più avanzate, sarebbe anacronistico privare gli investigatori di uno strumento così penetrante. «Bisognerà leggere bene le motivazioni della sentenza, ma è certo che l’intercettazione permanente richiede maggiore attenzione nella selezione del materiale, rilevante e non rilevante, fin dalla fase delle registrazioni da parte della polizia» osserva il Procuratore di Torino Armando Spataro. Che con i colleghi di Roma Giuseppe Pignatone e di Napoli Giovanni Colangelo, ha predisposto una circolare per impedire divulgazioni indebite di intercettazioni non rilevanti o riguardanti estranei alle indagini. L’uso pieno del Trojan imporrà quanto meno dosi massicce di professionalità.

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