Non devono essere considerate vessatorie le clausole claims made inserite in un contratto di assicurazione. A chiarirlo è la Cassazione con la sentenza delle Sezioni unite n. 9140 depositata ieri. La Corte in particolare ha ricordato che la clausola va considerata come un elemento atipico inserito in un contesto assolutamente tipico del contratto ex articolo 1917 del Codice civile. Si tratta in definitiva di una libera pattuizione tra privati che non compromette regole concorrenziali o limita i diritti di una parte.
I giudici hanno riconosciuto la piena validità delle clausole claims made “impure”. Ossia quelle condizioni che legano il risarcimento da parte dell’assicurazione a una condizione inderogabile e cioè che durante il tempo dell’assicurazione intervengano sia il sinistro sia la richiesta di risarcimento. Si tratta di clausola o condizione che per l’appunto la Corte non ritiene vessatoria. Al massimo potrebbe essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza oppure, quando è applicabile la disciplina prevista dal decreto legislativo 206/2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritto e degli obblighi derivanti dal contratto.
Lo scostamento dal modello del Codice, sottolinea la Corte, puntando a circoscrivere la copertura assicurativa in rapporto a elemento temporale aggiuntivo si inscrive a pieno titolo nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, entro i quali l’assicuratore è tenuto a risarcire il danno sofferto dall’assicurato. «E poiché - concludono sul punto le Sezioni unite - non è seriamente predicabile che l’assicurazione della responsabilità civile sia ontologicamente incompatibile con tale disposizione, il patto claims made è volto in definitiva a stabilire quali siano, rispetto all’archetipo fissato dall’articolo 1917 Codice civile, i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l’oggetto, piuttosto che la responsabilità».
In un passaggio conclusivo della sentenza però. le Sezioni unite si soffermano su un aspetto cruciale, quello della compatibilità della clausola claims made con l’introduzione in materia professionale dell’obbligo di assicurare la responsabilità civile con l'esercizio dell’attività. Lo spostamento del rischio dal danno alla denuncia (se quest’ultima è presentata in ritardo nella versione «pura» impedisce il risarcimento) e i conseguenti buchi di copertura cui la polizza si espone fa propendere i giudici per un verdetto di non idoneità. In gioco, ricordano le Sezioni unite ci sono non più, o non solo, i rapporti tra compagnia e assicurato, ma quelli tra professionista e cliente, visto che l’obbligo di assicurazione è stato introdotto proprio a tutela del terzo. E allora l’invito dei giudici ai consigli nazionali dei professionisti chiamati a stipulare le convenzioni è quello di tenere conto delle controindicazioni al momento della firma delle convenzioni collettive negoziate.
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