Norme & Tributi

Ancora troppa incertezza sui requisiti

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Fisco & Contabilità

Ancora troppa incertezza sui requisiti

Non è sicuramente un tributo degno di un ordinamento “normale” quello che richiede tre pronunce di Cassazione a Sezioni unite nell'arco di un mese, per prendere posizione su cosa sia il presupposto dell'Irap sotto il profilo dell'autonoma organizzazione.
La Suprema corte ha infatti statuito – nell'ordine inverso dei depositi – che non sussiste il presupposto del tributo regionale se il contribuente è assistito da un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria o meramente esecutive; che sono invece comunque contribuenti Irap le società semplici e gli studi associati, mentre i medici convenzionati con il servizio sanitario nazionale non devono pagare questa imposta anche se utilizzano strutture materiali e personali di segreteria o infermieristiche comuni.

Questi sono i tre casi decisi ora al massimo livello giurisprudenziale, ma si può scommettere che le Sezioni unite dovranno intervenire su altre fattispecie non inquadrabili in queste pronunce, che lasciano nella più totale incertezza ancora un buon numero di soggetti.

La delega fiscale (legge 23/2014) aveva demandato al Governo l'emanazione di un atto normativo che individuasse regole oggettive e quantificabili in modo univoco per stabilire se l'attività esercitata dovesse considerarsi soggetta o meno all'Irap. Questo precetto della delega è caduto nel vuoto con la scadenza dei termini per l'emanazione dei decreti legislativi delegati.

Certo non sarebbe semplicissimo dettare regole coerenti con le massime di diritto della Corte, specialmente per quanto riguarda il «numero» da scrivere per convalidare cosa siano i «beni strumentali non eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione».

In teoria si può fare, avvalendosi dello strumento degli studi di settore. Bisognerebbe per ogni studio e per ogni cluster scrivere questa cifra – da mettere in chiara evidenza – al superamento della quale, in combinazione con gli altri fattori, tra cui le collaborazioni a disposizione del titolare, il contribuente diventa soggetto all'Irap.

Ma ha un senso proseguire su questa strada, che sarà costellata da chissà quante altre pronunce giurisprudenziali, nell'ambito di un contenzioso sempre più diffuso e inconcludente? La risposta è sicuramente negativa: il tributo deve essere determinato con chiarezza e semplicità, e questa situazione non ricorre certo se un numero rilevantissimo di soggetti (la parte prevalente dei titolari di partita Iva è costituita da soggetti che “vendono” il loro lavoro e non quello dell'attività organizzata) deve stare attento alle varie pronunce per valutare se il caso deciso dalla giurisprudenza può essere applicato per analogia al proprio.

L'intervento normativo si rende ancor più indispensabile e in tempi brevi. Il problema si era già posto con la distinzione tra imposta di ricchezza mobile, categoria «C1» piuttosto che «B», e l'assoggettamento o meno all'Ilor. In entrambi i casi il legislatore aveva dettato una regola chiara e semplice, espressa dal numero degli addetti all'attività. Va ricordato che l'esenzione da Ilor spettava sino a tre soci e tre addetti.

Ma l'Irap ha bisogno di un restyling ancora più approfondito, specie dopo l'uscita di quasi tutto il lavoro subordinato dalla base imponibile, che l'ha resa assai prossima a un'addizionale alle imposte sui redditi. Trasformandola in una struttura di questo tipo si perderebbero anche le bizzarrie interpretative sul terzo binario di calcolo tra reddito contabile, imponibile per i redditi e imponibile per l'Irap. È un esercizio di cui non si sente proprio la necessità.

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