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Una regia comunitaria per le aliquote ridotte Iva

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Una regia comunitaria per le aliquote ridotte Iva

Il piano d’azione Iva proposto dalla Commissione europea (Com 148 del 7 aprile 2016) individua un percorso per consentire una maggiore flessibilità nell’applicazione delle aliquote ridotte.

Liberalizzare l’applicazione delle aliquote ridotte potrebbe dare risposte a diverse esigenze negli ultimi anni manifestate da più parti e fatte proprie dai Governi che hanno a più riprese violato le norme unionali. In effetti, una prima grande discussione sull’utilizzo mirato delle aliquote ridotte risale al 2006, quando il Governo italiano aveva proposto una prima forma di applicazione selettiva delle aliquote, colpendo con un’aliquota più elevata prodotti con un impatto sociale minore. La discussione è, poi, stata rianimata al momento dell’applicazione degli incrementi delle aliquote dovute alla necessità di reperire risorse per far fronte alla crisi finanziaria internazionale. Adesso il tema è reso sempre più pressante sia per rispondere alle infrazioni sollevate nei confronti del nostro Paese sia per verificare, in anticipo, come applicare (si spera di no!) le clausole di salvaguardia che oramai sono onnipresenti in tutte le manovre di fine anno.

Quello che si dovrebbe riuscire a fare è una completa modernizzazione del sistema delle aliquote ridotte favorendo, in modo più puntuale, i bisogni delle classi sociali minori (introducendo aliquote ridotte nei confronti di beni e servizi di massa) e fornendo risposte precise agli sviluppi tecnologici ed economici che caratterizzano l’attuale sistema mondiale (quale lo sviluppo di un mercato unico digitale).

La proposta della Commissione europea che cerca di dare risposte specifiche alle diverse istanze nazionali (sulle aliquote ridotte l’Ue ha aperto ben 40 infrazioni nei confronti dei due terzi degli Stati membri) parte dalla considerazione che i cambiamenti normativi in atto nel settore dell’Iva potrebbero rendere inutile le attuali restrizioni previste dalla direttiva dell’Unione (direttiva 2006/112/Ce). In particolare, la scelta di abbandonare nelle transazioni transfrontaliere il regime dell’origine – sostituito ormai in modo definitivo da un sistema di tassazione a destinazione – esclude in modo sostanziale il vantaggio che ne possono trarre i fornitori di beni e servizi i quali, comunque, sono costretti ad applicare l’imposta in base alle regole dello Stato di consumo. Inoltre, la rigidità delle aliquote non consente di adattarle rapidamente ai nuovi settori economici, in quanto qualsiasi modifica deve avvenire a livello europeo con decisioni prese all’unanimità.

Le soluzioni individuate per questo trasferimento di competenza agli Stati membri seguono due approcci diversi.

Il primo, nel segno della continuità, prevede un ampliamento e riesame periodico dell’elenco già previsto all’interno della direttiva Iva.

Il secondo, ispirato a un approccio più radicale, prevede l’abolizione di tale elenco e il trasferimento agli Stati della competenza di fissare in maggiore autonomia numero e livello delle aliquote ridotte. Questa autonomia non potrebbe mai mettere in discussione le regole comuni e implicherebbe la messa in atto di garanzie per evitare una concorrenza fiscale sleale nel mercato unico, assicurando la certezza del diritto e riducendo i costi di conformità.

Proprio sotto questi aspetti si giocherà la vera sfida che, se realizzata senza una regia centrale, potrebbe portare a un’erosione delle entrate Iva, con un aumento delle complessità di gestione e con la creazione di costi aggiuntivi per le imprese.

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