L'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, a patto che sia in concreto prevedibile ed evitabile. A stabilirlo è la Cassazione, con la sentenza n. 21581, depositata ieri.
Ecco il caso: un motociclista viene mortalmente investito da un'autovettura che, non essendosi accorta dell'arrivo della moto, effettua una svolta a sinistra senza dare la precedenza e seguendo una traiettoria con la quale non impegna la corsia di marcia nella quale intende immettersi, bensì quella opposta su cui procede la vittima.
Nei giudizi di merito l'automobilista viene condannato a 1 anno di reclusione per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale per avere omesso di procedere alla manovra di svolta con la dovuta prudenza e dando la precedenza alla moto, nonché per non avere eseguito detta manovra in prossimità del centro dell'intersezione e a sinistra di questo, e in modo da non creare pericolo per gli utenti della strada.
La Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte di Appello invitandola a valutare con maggiore adeguatezza alcuni elementi potenzialmente decisivi per dimostrare la non prevedibilità ed evitabilità dell'incidente da parte dell'automobilista: la moto correva in orario notturno a una velocità più che doppia a quella consentita; l'illuminazione pubblica e la visibilità del luogo erano scarse; un testimone aveva riferito che la moto viaggiava – nonostante fosse notte - a fari spenti. Tutte circostanze che, rendendo imprevedibile l'avvicinamento della moto, possono escludere la responsabilità dell'automobilista per lo scontro mortale.
La sentenza in commento è condivisibile, e si pone nel solco di altri precedenti della Suprema Corte, i quali hanno delineato i contorni del principio dell' “affidamento” in materia di circolazione stradale in un' ottica giustamente attenta a non rendere il concetto di “prevedibilità” dell'altrui condotta di guida un'astratta enunciazione di principio bensì un elemento concreto da valutarsi volta per volta in base alle caratteristiche del singolo caso.
Un passaggio importante della sentenza della Cassazione è anche quello relativo alla valutazione della prova: i giudici di merito, infatti, hanno disatteso le parole di un testimone - che aveva riferito che la vittima viaggiava a fari spenti - solamente in quanto tale circostanza non era stata riferita in sede di indagini, ma per la prima volta nel corso del dibattimento.
Nel censurare la decisione della Corte di Appello, la Suprema Corte ha affermato che non è consentito ricavare da una valutazione “affatto presuntiva e non ineccepibile sul piano logico” l'inattendibilità di una fonte di prova potenzialmente decisiva per valutare la concreta prevedibilità ed evitabilità dell'impatto da parte del motociclista.
Si tratta di una considerazione apprezzabile perchè dimostra la dovuta attenzione al rispetto sia al principio di colpevolezza, sia a quelli del “giusto processo”, che della formazione orale della prova nel dibattimento fa il proprio perno fondamentale. Incidenti stradali, la moto a fari spenti è “imprevedibile” per i guidatore dell'auto
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