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L’Irap ancora in debito di risposte

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L’Irap ancora in debito di risposte

  • –di Gianfranco Ferranti
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Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno risolto tre rilevanti problematiche sorte in merito al requisito dell’autonoma organizzazione ai fini dell’Irap ma altre restano ancora in attesa di una soluzione, che si auspica possa pervenire dal legislatore.

Medicina di gruppo

Le sentenze 7291 e 9451 del 2016 sono state favorevoli ai contribuenti e hanno stabilito che non sono tenuti a pagare il tributo regionale i medici convenzionati con il Ssn che esercitano in forma associata l’attività di medicina di gruppo e tutti i contribuenti che si avvalgono di un solo collaboratore che esplica mansioni di segreteria o meramente esecutive.

Ciò sempre che, naturalmente, non sussistano altri requisiti rilevanti ai fini impositivi, quale, ad esempio, l’utilizzo di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività.

L’ambito soggettivo di applicazione della prima sentenza è circoscritto ai medici convenzionati, per i quali l’attività di gruppo non è stata considerata rilevante in quanto non equiparabile a quella delle associazioni professionali.

Collaboratori unici

La seconda sentenza riguarda, invece, tutti i contribuenti che impiegano un solo dipendente o collaboratore, anche non occasionale, che non svolga mansioni tali da potenziare l’attività del contribuente. Il presupposto impositivo non è, pertanto, configurabile se sono svolte attività «generiche o meramente esecutive, che rechino all’attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato», quali quelle di segreteria, infermieristiche e di pulizia dei locali. Tale sentenza riguarda, oltre agli artisti e professionisti, anche «le figure di confine individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza» della stessa Corte e cioè gli agenti, i rappresentanti e i promotori finanziari nonché i piccoli imprenditori (artigiani, piccoli commercianti ecc.).

Società semplici

La sentenza 7371/2016 si è, invece, espressa a favore dell’Erario, sancendo il principio che l’attività esercitata dalle società semplici e dalle associazioni professionali costituisce in ogni caso presupposto dell’imposta, trattandosi di soggetti «strutturalmente organizzati». La prevalente giurisprudenza della Corte aveva, invece, precedentemente affermato che gli associati avrebbero potuto dimostrare che non si erano avvalsi reciprocamente della collaborazione e delle competenze professionali nonché della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze.

Gli aspetti ancora controversi riguardano, innanzitutto, le attività degli amministratori e dei sindaci di società, i cui proventi per la Cassazione non vanno assoggettati all’Irap anche se i contribuenti si avvalgono di un’autonoma organizzazione per lo svolgimento della loro attività professionale. L’agenzia delle Entrate ha affermato, invece, il contrario perché tali proventi concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo.

Risulta, altresì, difficoltoso individuare con precisione i criteri per stabilire l’eventuale rilevanza degli immobili strumentali. La Suprema corte ha affermato, a partire dalla ordinanza 23155/2010, che «il possesso di un modesto studio» significa avvalersi di un «bene strumentale non eccedente il minimo» e che la commissione di merito avrebbe dovuto accertare se lo stesso «per la sua ubicazione e dimensioni potesse essere considerato valore di bene strumentale minimale». Si tratta di un principio giusto ma di difficile applicazione pratica e appare auspicabile un intervento normativo che stabilisca che il possesso o la detenzione di un immobile strumentale non configura il presupposto impositivo e che in caso di utilizzo di più di uno studio o sede è possibile di dimostrare che non sussiste un’autonoma organizzazione, come riconosciuto in alcune sentenze di legittimità.

Vanno, infine, risolti i contrasti in atto tra l’Agenzia delle entrate e la Cassazione in merito alla rilevanza del valore dei beni strumentali e all’erogazione di compensi a terzi.

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