Norme & Tributi

Stato di povertà, la soglia più bassa favorisce l’Italia

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Fiscal View

Stato di povertà, la soglia più bassa favorisce l’Italia

  • –di Luciano Monti

Nell’Unione europea, prima del sostegno sociale, oltre un quarto della popolazione rischia di versare in stato di povertà, disponendo direttamente di redditi inferiori al 60% della mediana di riferimento del paese membro di residenza. A differenza di quanto ci si possa aspettare, l’Italia non è tra i paesi che presentano i dati più preoccupanti e con il 24,7% di poveri relativi “potenziali” (dato Eurostat) si posiziona meglio della media dei paesi dell’Unione ma anche di Germania e Regno Unito, quest’ultimo con addirittura il 29,3% dei cittadini a rischio di povertà potenziale.

In valori assoluti, come di recente ha rimarcato uno studio curato dalla Scuola Europea di Alti Studi Tributari di Bologna e pubblicato su questo giornale il 15 maggio scorso, i contribuenti italiani con redditi sotto la soglia dei 10.000 euro sono circa un terzo, mentre in Germania il 28% per cento.

Non bisogna però dimenticare che la soglia di rischio di povertà, secondo la rilevazione di Eurostat, è in Italia inferiore a 9.500 euro, mentre sfiora i 12.000 euro in Germania. Quindi, la percentuale dei tedeschi a rischio di povertà potenziale supera quella degli italiani poiché questi ultimi, per non rientrare in questa delicata categoria devono superare una soglia più bassa.

Il nostro paese è colpito dall’onda lunga della crisi come le altre “potenze economiche” dell’Unione. Mal comune mezzo gaudio? No, perché il problema sta nel come il singolo paese fronteggia il fenomeno, ridistribuendo risorse mediante i sussidi di disoccupazione, i sussidi alla famiglia, le pensioni d’invalidità, l’indennità di malattia, i sussidi sociali, i contributi per l’abitazione e altri benefici di tipo assistenziale.

Nel Regno Unito, che come ricordato dei paesi messi qui a confronto è quello più colpito dal fenomeno, dopo i sussidi “soltanto” il 16,8% della popolazione rimane a rischio di povertà. Stessa percentuale per i tedeschi e meglio fa la Francia che, dopo il ricorso agli ammortizzatori sociali, “lascia” a rischio di povertà poco più di 13 cittadini su 100.

E l’Italia? Ecco qui il problema, perché la mano dello Stato “si dimentica” del 19,4% della cittadinanza, dove, e pare un paradosso, a rischio di povertà, con redditi inferiori a 9.455 euro l'anno ci sono proprio schiere di pensionati e un Welfare ancorato a un vecchio modulo incentrato esclusivamente sulla famiglia, «nel senso che il suo obiettivo finale è la famiglia, che si assume fornisca gratuitamente servizi ai suoi membri non direttamente toccati dall’intervento pubblico», conclude uno studio della Fondazione Bruno Visentini dal titolo Il Lavoro nel contesto socio-economico italiano: le teorie sul lavoro, politiche europee e Jobs Act. Ne deriva una scarsa attenzione agli oltre 2,3 milioni di Neet under 29 (giovani non occupati e non in istruzione e formazione - Istat 2015).

La dimenticanza, ancora una volta, è eclatante nelle regioni del Sud perché la menzionata media del 19,4% tiene conto del 9% della Lombardia, dell’11% della Toscana ma anche, purtroppo, di oltre il 38% della Campania e oltre il 40% della Sicilia. Qui, dunque, il fallimento della politica sociale è acuito dal fallimento della politica regionale.

L’impatto della “inadeguata” politica sociale italiana si coglie anche analizzando i dati che Eurostat ci fornisce in merito alla percentuale di cittadini che soffrono di gravi deprivazioni materiali come, per esempio, non poter contare su un pasto a base di carne o alte proteine una volta ogni due giorni, una casa riscaldata e/o una lavatrice.

Allora si scopre che per il nostro paese le cose vanno ancora peggio, con quasi 12 cittadini su 100 in questa tristissima condizione, vale a dire, 6,9 milioni di persone. Nella più popolosa Germania sono invece meno di 4 milioni e nel Regno Unito 4,5 milioni.

Forse dovremmo imparare a guardarci un po’ attorno scoprendo come gli altri paesi provano a risolvere questi problemi e con quali strumenti. Meriterebbe una ampia riflessione, per esempio, la proposta presentata il 18 aprile scorso da un deputato francese (Christophe Sirugue) dal titolo “Ripensare il reddito di base: verso una copertura sociale comune”, che propone l’abbassamento dell’età dei beneficiari a 18 anni e soprattutto la non cumulabilità con un altro componente familiare. In altre parole, se un giovane decidesse di andare a convivere lasciando la sua famiglia di origine, il suo reddito minimo sociale potrebbe essere cumulato a quello del suo eventuale compagno, facendo dunque saltare il principio dell’economia di scala che, francamente, su soglie molto basse di reddito appare oramai anacronistico.

Un’occasione per ripensare al nostro sistema di ammortizzatori “familistici”, che non rappresentano più un’opportunità di sostegno ma troppo spesso un ostacolo alla crescita e allo sviluppo delle nuove generazioni. E le pensioni tornino a essere il sostegno all’invecchiamento sereno.

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