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L’incognita della speranza di vita complica il calcolo del coefficiente

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L’incognita della speranza di vita complica il calcolo del coefficiente

L’estensione dell’anticipo pensionistico ai lavoratori prossimi alla pensione potrebbe rendere meno severi i requisiti introdotti alla fine del 2011 dal decreto legge Monti-Fornero.

I tempi tecnici della riforma, di cui si sta parlando da diverse settimane, non saranno brevi anche dopo il varo.

Infatti sia l’Inps sia il ministero del Lavoro dovranno mettere in campo tutte le risorse (non solo finanziarie) a disposizione. L’istituto previdenziale sarà chiamato a certificare il possesso dei requisiti previsti per la pensione di vecchiaia affinché entro i tre anni, il lavoratore raggiunga il requisito ordinariamente previsto per l’accesso alla pensione di vecchiaia, congiuntamente a quello contributivo che non potrà comunque essere inferiore a 20 anni. In analogia a quanto sta accadendo con l’applicazione del part time agevolato introdotto dall’ultima legge di stabilità che ha visto la luce con cinque mesi di differimento rispetto all’entrata in vigore della norma.

Un aspetto da non sottovalutare è quello relativo al coefficiente di trasformazione utilizzabile per ottenere la quota C di pensione (quota contributiva) attraverso l’applicazione di quello correlato all’età prevista per la pensione di vecchiaia. In altri termini, il lavoratore che accederà all’anticipo pensionistico con 64 anni 7 mesi, si vedrà applicare il coefficiente legato all’età prevista per la pensione di vecchiaia (66 anni 7 mesi, requisito valevole fino al 31 dicembre 2018). A fronte di una maggiore età, il coefficiente sarà superiore e di conseguenza anche la quota C. A ciò dovrà detrarsi il “costo” dell’operazione.

Tuttavia gli adeguamenti legati alla speranza di vita comportano anche una rivisitazione dei coefficienti da parte del ministero del Lavoro e delle politiche sociali che effettua, tramite apposito decreto direttoriale, l’aggiornamento degli stessi. Di conseguenza a fronte di un maggior godimento della pensione, la quota contributiva scende in misura proporzionale. Ma i coefficienti attualmente disponibili coprono le decorrenze pensionistiche che si collocano entro il 31 dicembre 2018. Pertanto un lavoratore – nato il 31 dicembre 1953 – conseguirebbe ordinariamente la pensione di vecchiaia il 1° gennaio 2021 ma grazie all’anticipo la decorrenza sarebbe 1° gennaio 2018. In questo caso l’Inps dovrebbe utilizzare il coefficiente del biennio 2021/2022 ma questo non sarebbe ancora noto nel momento di accesso all’Ape. Sulla base di quanto accaduto con le rideterminazioni effettuate fino ad oggi, le “nuove” speranze di vita vengono comunicate con un anno di anticipo rispetto alla relativa applicazione mentre l’adeguamento dei coefficienti con 6 mesi. Pertanto, il decreto dovrebbe prevedere dei tecnicismi tali da neutralizzare questa problematica. Quanto in argomento, facile da comprendere da un punto di vista teorico, potrebbe presentare delle criticità in fase di applicazione e determinazione dell’assegno pensionistico.

Tra i lavoratori che intendono ritirarsi volontariamente dal lavoro e quelli che a causa di forza maggiore sono costretti ad aderire, il panorama pensionistico italiano – ricco di deroghe ed eccezioni a tutela della salvaguardia dei diritti “acquisiti” – rischia di aggravarsi ulteriormente.

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