
L’anticipo pensionistico a cui sta lavorando il governo promette di mandare in pensione l’anno prossimo con un anticipo variabile tra uno e tre anni rispetto al trattamento di vecchiaia a fronte, però, di una penalizzazione economica. Che sarà determinata principalmente dal prestito che servirà per finanziare l’operazione, senza incidere troppo sul bilancio dello Stato.
Questo significa poter smettere di lavorare per gli uomini già a 63 anni e 7 mesi di età, mentre per le donne la condizioni migliore è riservata alle dipendenti del settore privato la cui uscita scatterà già a 62 anni e 7 mesi. È però evidente che, dopo la pubblicazione della norma saranno necessari i tempi tecnici per l’emanazione dei decreti ministeriali attuativi. Inoltre, l’Inps dovrà attivare le procedure per certificare il diritto alla pensione, il che fa presumere uno slittamento di alcuni mesi rispetto alla data di effettiva entrata in vigore della norma.
Tuttavia l’appetibilità del complesso meccanismo va valutata mettendola a confronto con le soluzioni che nel 2017, anno di debutto previsto dell’Ape, saranno disponibili e che in molti casi non comportano penalizzazioni per i lavoratori. Le principali vie d’uscita alternative sono la pensione anticipata e l’anticipata con il sistema contributivo. Nel primo caso si può smettere di lavorare con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno le donne): la via è particolarmente vantaggiosa per chi ha iniziato a versare a 20 anni o prima, in quanto gli uomini raggiungono l’assegno previdenziale tra i 57 anni e 10 mesi e i 62 anni e 10 mesi di età. Il 2017 sarà l’ultimo anno in cui non saranno applicate le penalità sulle quote retributive per coloro che accederanno alla pensione anticipata con una età inferiore a 62 anni. Dal 2018 le penalità troveranno nuovamente applicazione.
Con l’anticipata contributiva, disponibile per chi ha iniziato a versare dal 1996, si deve fare i conti con un assegno meno ricco rispetto al sistema misto e il requisito minimo d’età è identico. In questo caso, quindi, non si hanno vantaggi rispetto all’Ape.
Altra situazione dove invece l’anticipo massimo è più ampio rispetto all’Ape la si trova quando si devono gestire degli esuberi di personale nell’ambito di crisi aziendali. Qui è infatti prevista la possibilità di un accompagnamento alla pensione che può durare fino a quattro o cinque anni. I dipendenti cessano di lavorare e l’assegno, pari alla pensione o alla retribuzione, viene pagato dall’azienda con eventuale compartecipazione dei fondi, con relativa copertura della contribuzione figurativa. Finora è una via percorsa da poche grandi aziende e dai fondi del settore bancario e assicurativo. Tuttavia il nuovo sistema di ammortizzatori sociali punta molto sullo sviluppo e l’intervento dei fondi di settore e quindi in prospettiva i numeri potrebbero crescere. Però, in base alle indicazioni emerse in questi giorni dopo l’incontro governo-sindacati, l’Ape dovrebbe intervenire anche in queste situazioni, mettendo il costo del prestito a carico dell’azienda e non del lavoratore. Le soluzioni esistenti e la nuova potrebbero quindi accavallarsi e, in tal caso, bisognerà verificare quale risulterà meno onerosa per i datori di lavoro, mentre quelle attuali sono più vantaggiose per i dipendenti rispetto all’Ape.
Altro fronte di intervento previsto per l’Ape è quello dei lavori pesanti. Al momento non è chiaro quali attività rientrano nella definizione, ma va rilevato che oggi ci sono requisiti agevolati per chi è impiegato in attività usuranti o che si svolgono prevalentemente di notte. Peraltro i fondi messi a disposizione per coprire questa agevolazione non vengono utilizzati interamente, segno forse che le modalità di accesso sono troppo strigenti a causa dell’inasprimento attuato dalla riforma del 2011. A questo riguardo appare curioso che il governo, invece di facilitare l’utilizzo di questa opzione, che è a costo zero per i lavoratori, ipotizzi l’intervento dell’Ape che potrebbe non essere gratuita.
Di nessuna utilità, infine, sarà l’anticipo pensionistico per i nati entro il 1952, in quanto l’anno prossimo potranno accedere al trattamento a importo pieno con 64 anni e 7 mesi.
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