Norme & Tributi

Pensioni, nodo detrazioni per l'Ape

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la ripresa difficile

Pensioni, nodo detrazioni per l'Ape

Non solo l’Ape, l’Anticipo pensionistico. Con i nodi ancora da sciogliere della calibratura delle detrazioni fiscali e del costo del premio assicurativo contro il rischio pre-morienza, oltre a quelli dei lavoratori «precoci» e dei lavori usuranti. Il confronto tra governo e sindacati sulla previdenza riparte oggi da altri tre temi “collaterali” ma non trascurabili: rivalutazione delle pensioni, ricongiunzioni dei contributi e eventuale estensione della no tax area. Soprattutto sulla questione delle ricongiunzioni onerose il Governo sembra disponibile a individuare una soluzione per attenuare i costi anche per dare un sostegno alle generazioni più giovani alle prese con il problema delle carriere discontinue. Ma, complice anche l’effetto Brexit, l’esecutivo cercherà di abbassare la luce dei riflettori sul capitolo previdenza. Già oggi il round andrà in onda a porte chiuse. E dopo l’incontro di giovedì 30 giugno sul lavoro (in cui sarà affrontata anche l’ipotesi di una riduzione strutturale del cuneo sul lavoro stabile)la partita con i sindacati dovrebbe proseguire a fari spenti almeno fino alla fine di agosto. Con l’obiettivo di individuare una soluzione il più possibile condivisa su cui l’esecutivo deciderà autonomamente prima di inserire eventualmente il pacchetto-flessibilità nella prossima manovra autunnale di bilancio.

Tra i temi in discussione nel round odierno uno dei più complessi è quello dell’indicizzazione delle pensioni, le cosiddette rivalutazioni. Il Governo parte dal dato di fatto che nel 2017 si dovrebbe tornare alla perequazione su tre fasce prevista dalla legge 338 del 2000. Si uscirebbe dunque dalle cinque fasce che erano state introdotte dal Governo Letta e che prevedevano una copertura solo fino al 50% delle pensioni tra le 5 e le 6 volte il minimo. La scelta da effettuare, soprattutto in tempi di deflazione, potrebbe essere non neutrale sulle dinamiche di lungo periodo della spesa previdenziale. Anche per questo motivo appare improbabile un rimborso ulteriore rispetto a quello previsto dal decreto varato del Governo nel 2015 dopo la pronuncia della Consulta sulle indicizzazioni congelate dalla riforma Fornero.

La definizione del meccanismo dell’Ape e la sua ricaduta sui lavoratori suddivisi in categorie (disoccupati di lungo corso, lavoratori interessati da processi di ristrutturazione aziendale e uscite volontarie) resta il piatto forte del confronto. E le simulazioni elaborate dal Sole 24 Ore per tutte le categorie interessate, che sono state pubblicate sul giornale in edicola il 24 giugno scorso, confermano come l’assegno percepibile grazie all’anticipo con il prestito “pensionistico-bancario” possa variare per effetto di vari parametri: dall’Ape richiesto (tetto massimo 95% dell’ipotetica pensione di vecchiaia maturata) e dall’entità della pensione “piena” potenziale fino al tasso annuo nominale (Tan) sull’Ape stesso (che noi abbiamo ipotizzato al 3% tenendo conto dell’andamento dei tassi pre-Brexit) e all’assicurazione contro il rischio pre-morienza (con la nostra simulazione viene ipotizzato un premio del 30% sul valore dell’anticipo pensionistico).

In ogni caso il meccanismo consentirebbe l’uscita anticipata agli “over 63”, garantendo maggiormente, grazie a detrazioni fiscali robuste, i disoccupati di lungo corso e i lavoratori in condizioni disagiate a basso reddito senza comunque intaccare la riforma Fornero. Che non subirebbe, di fatto, nessuna modifica. Una strategia che non convince troppo i sindacati (soprattutto la Cgil). Che però restano sensibili alla possibilità di introdurre alcuni elementi di flessibilità nel sistema di uscite verso la pensione, seppure attraverso il prestito “pensionistico bancario”, e anche alla possibilità di offrire uno strumento in più ai disoccupati di lungo corso rimasti senza ammortizzatori. La partita si giocherà soprattutto sulla calibratura delle detrazioni fiscali che concorreranno a ridurre la decurtazione dell’assegno erogato per gli anni di anticipo sotto forma di Ape.

In assenza di una “curva” precisa relativa alle detrazioni, per le nostre simulazioni è stato ipotizzato più genericamente un contributo dello Stato con vari gradi di incidenza sulla base di quattro figure tipo di beneficiari: Giovanni, che è un disoccupato senza più ammortizzatori sociali o con reddito basso; Federica, che è un’impiegata coinvolta in un piano di ristrutturazione aziendale; Mario è invece un lavoratore nato tra il 1951 e il 1953, come i suoi colleghi, ma non si trova in situazione di difficoltà e vuole autonomamente optare per l’anticipo sapendo di poter contare su una pensione piena lorda di 2.615 euro. Tra le opzioni c’è anche quella di Laura, che si trova nell’identica situazione di Mario ma ha però maturato una pensione quasi doppia (circa 5mila euro lordi).

Il costo dell’Ape, come rata media spalmata sui venti anni di rimborso, oscillerebbe da circa l’1,4% l’anno per Giovanni (la cui pensione lorda è di 1.212 euro) a circa il 2,8% l’anno per Federica (pensione lorda maturata di 2.000 euro e un contributo dell’impresa del 40%) fino a quasi il 5% (precisamente poco meno del 4,9%) l’anno per Mario e al 4,6% per Laura per un anticipo di tre anni.

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