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Laureate con figli le più occupate ma gli stipendi restano bassi

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FESTIVAL DEL LAVORO 2016

Laureate con figli le più occupate ma gli stipendi restano bassi

In poco più di un decennio, dal 2004 al 2015, sono cambiate profondamente le caratteristiche delle famiglie italiane, diventate sempre più piccole: il nucleo familiare classico costituito da una coppia con figli, pur rimanendo maggioritario, ha subito una lieve flessione, mentre è aumentato in modo consistente il numero delle persone sole. L'aumento dei single e la diminuzione del tasso di fertilità ha determinato nell'ultimo decennio la stagnazione delle famiglie con figli (11 milioni) e la crescita di quelle senza figli, da 12 milioni nel 2004 a oltre 14 nel 2015. Si tratta di un contesto complesso, in cui al calo della prole non ha fatto da contraltare un aumento del tasso d'occupazione femminile. Questo, anche per il relativo sviluppo che nel nostro Paese ha ancora il welfare di sostegno, compreso quello aziendale.
A dirlo sono i dati contenuti nel rapporto “Famiglia, lavoro, gender gap: come le madri-lavoratrici conciliano i tempi”, realizzata dall'Osservatorio Statistico dei consulenti del lavoro e presentata questa mattina in occasione del Festival del Lavoro 2016, in programma a Roma fino a sabato 2 luglio. «L'indagine – ha spiegato Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro – ha cercato di comprendere in che modo il ruolo genitoriale incida sulla partecipazione al mercato del lavoro da parte delle madri e rappresenta l'ultima tappa di un percorso avviato dal Consiglio nazionale con l'istituzione dell'Osservatorio all'interno della Fondazione studi. L'indagine mette al centro anche le problematiche della famiglia che, voglio ricordarlo, rappresenta ancora il primo ammortizzatore sociale del nostro Paese».
Nell'analisi dei consulenti emerge che il tasso d'occupazione femminile è strettamente connesso al titolo di studio: cresce con l'aumento del livello d'istruzione dal momento che è molto probabile che a titoli di studio più alti corrispondono anche salari più elevati, che consentono di pagare più agevolmente i servizi di cura dei bambini, che assieme ai servizi sostitutivi del lavoro domestico, in assenza di nonni o di altri familiari, pesano in media per circa 500 euro al mese. Non a caso il tasso di occupazione di una madre con al massimo la licenza media diminuisce in modo drammatico dal 45% nel caso la lavoratrice abbia un figlio al 36,7% con la nascita del secondo figlio, al 26,4% con il terzo figlio e al 18,6% con quattro o più figli. Anche per le madri diplomate il tasso di occupazione diminuisce drasticamente dal 64,6% (1 figlio) al 43,2% (4 figli e più).
Per le laureate con uno o tre figli, invece, il tasso di occupazione cresce dal 79,8% all'81%, probabilmente perché aumenta il bisogno di un reddito da lavoro per far fronte all'incremento significativo delle spese per mantenere i figli. La differenza tra il tasso di occupazione delle donne con al massimo la licenza media e di quello delle laureate raddoppia, poi, con l'aumento del numero dei figli e delle spese per il loro mantenimento, da 34,9 a 54,6 punti percentuali.
In questo contento – evidenzia l'Osservatorio statistico – di fronte a uno Stato che non è in grado di fornire al cittadino un sistema completo di welfare che copra ogni esigenza determinata dal progressivo invecchiamento della popolazione e dalla maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sono le imprese che possono contribuire in modo significativo a migliorare la vita privata e lavorativa dei propri dipendenti e a facilitare la conciliazione tra vita privata e professione.
Su questo fronte un importante passo in avanti secondo gli autori dell'indagine è stato fatto con la riforma delle norme fiscali relative al welfare aziendale inserita nella legge di Stabilità 2016, modifiche che rappresentano un cambiamento di enorme portata poiché non si applicano solo ai beni e servizi erogati in sostituzione totale o parziale del premio di produttività, ma a tutti i benefit di welfare aziendale offerti ai lavoratori.
Anche in materia di welfare, tuttavia, il gap tra uomini e donne è stato finora marcato. Basti pensare che nel 2014 – limitandosi alle sole prestazioni di welfare aziendale più diffuse, ossia i buoni pasto e la mensa aziendale - i ticket restaurant sono stati ricevuti complessivamente da 2,4 milioni di lavoratori (il 14% dei dipendenti) ma con valori percentuali nettamente più bassi per le lavoratrici(12,5% contro 16,1%). Le differenze di genere in valori assoluti dei percettori di buoni pasto sono spiegate dal minore numero di donne occupate rispetto agli uomini, mentre il gap delle incidenze percentuali possono essere messi in relazione alla minore diffusione di questo benefit nei settori economici più femminilizzati come l'istruzione, la sanità e la pubblica amministrazione.
Stesso discorso anche per l'utilizzo della mensa aziendale a cui accedono 1,7 milioni di lavoratori (10% del totale dei dipendenti), ancora una volta con una quota maggiore di maschi (11,1%) rispetto alle femmine (8,8%). Anche i cellulari sono appannaggio prevalentemente degli uomini, mentre una quota maggiore di lavoratrici beneficia dell'alloggio gratuito oppure a prezzo ridotto.
Per trovare le donne ancora davanti bisogna andare alla voce rimborso delle spese sanitarie, che interessa 246mila lavoratori dipendenti (1,5% del totale) e al rimborso delle spese per le bollette dell'abitazione privata (1,2%, a fronte dello 0,6% tra gli uomini). Più in generale, infine, secondo gli estensori della ricerca è preoccupante che solo lo 0,1% dei lavoratori dipendenti (21 mila unità) riceva il rimborso per le spese sostenute per i servizi rivolti all'infanzia (asili nido, scuole materne e centri estivi), con minime differenze di genere. A conferma che la strada da percorrere per conformarsi agli standard dei più avanzi Paesi Ue è ancora lunga.

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