Da oggi, 30 giugno, sulla base delle indicazioni del progetto Beps, i marchi e il know-how (quest'ultimo se riferito a soggetti di grandi dimensioni) non rientrebbero più nel patent box. Resterebbe salva l'agevolazione per le istanze già presentate, peraltro si spera facendo riferimento alla data di presentazione dell'istanza stessa e non alla comunicazione di ammissibilità da parte dell'Agenzia (che riteniamo possa giungere anche dopo). Di 30 giugno parla, ancorché indirettamente, anche la circolare 11/E del 2016 dell'Agenzia. Tuttavia, nella gerarchia delle fonti, le raccomandazioni Ocse rappresentano dei documenti interpretativi e di indirizzo non vincolanti, né tanto meno le circolari dell'Agenzia hanno forza di legge.
In assenza di una modifica normativa ad hoc escludente i marchi e il know how, si dovrebbe quindi ritenere che l'agevolazione possa ancora riguardare tali beni immateriali. Ovviamente bene hanno fatto coloro che prudentemente hanno inoltrato le istanze prima del 30 giugno, ma l'auspicio è invece che l'Italia possa mantenere più a lungo possibile questa specificità del regime. Tanti paesi europei presentano disallineamenti evidenti rispetto ad una cosiddetta fair tax competition e per un Paese come l'Italia, con la nostra inventiva, creatività e i nostri marchi, non sarebbe certo scandaloso differenziarci (una volta tanto) in senso pro aziende. L'auspicio quindi è che l'orientamento dell'agenzia delle Entrate non sia quello di considerare inammissibili le istanze di accesso al regime presentate post 30 giugno su marchi e know how. Il presupposto per la limitazione è rappresentato dall'Action 5 Beps, che si fonda sul rispetto del nexus approach, ovvero della relazione che dovrebbe sussistere tra reddito agevolabile, spese di ricerca e sviluppo sostenute e beni immateriali. Per espressa - ancorché non sufficientemente motivata - indicazione Ocse, non rientrerebbero mai nel nexus i marketing-related IP assets, ovvero i marchi d'impresa (e parrebbe, a certe condizioni, anche i disegni e i modelli). Per quanto riguarda il know-how, le indicazioni Ocse non sembrano prevedere esclusioni, ma paletti per la fruizione dell'agevolazione. L'Ocse considera quale IP “principe” il brevetto, e altri beni funzionalmente equivalenti. Inoltre include il software protetto da copyright. A latere, l'Action 5 ammette una categoria aperta di IP, agevolabili a condizione che siano rispettati una serie di condizioni:
• caratteristiche e funzioni simili al brevetto (non-obviousness, usefulness e novelty),
• che siano soggetti a una procedura trasparente di certificazione;
• che i titolari non superino determinate dimensioni, e in particolare:
- fatturato complessivo medio di gruppo negli ultimi cinque anni non superiore a 50 milioni di euro;
- ricavi medi negli ultimi cinque anni derivanti da IP qualificato, calcolati a livello individuale, non superiori a 7,5 milioni di euro.
Nella categoria aperta di IP viene generalmente ritenuto agevolabile il know-how. Questo quadro sulla “categoria aperta”, oltre a dover far ritenere la potenziale esclusione del know how limitata ai soggetti di grandi dimensioni, potrebbe più in generale lasciare una certa discrezionalità al legislatore italiano. Del resto alcune “distanze” da queste indicazioni sono già tollerate. Si pensi, ad esempio, che il know-how non è soggetto a certificazioni esterne (anzi viene autocertificato dal titolare, secondo quanto chiarito dalla stessa circolare 11/E), a tutela della segretezza, che è condizione per il suo riconoscimento. Insomma lo spartiacque del 30 giugno, oltre, se del caso, a dover essere auspicabilmente riferito alla presentazione dell'istanza (e non già alla comunicazione di ammissibilità, che potrebbe arrivare anche successivamente), potrebbe essere proprio superato, mantenendo, almeno per tutto il 2016, la specificità del nostro bel regime di patent box.
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