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Avvocati in contrasto sul divieto al velo islamico in azienda

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Avvocati in contrasto sul divieto al velo islamico in azienda

Vietare o non vietare il velo islamico alle donne che lavorano in un'azienda privata non è solo un dilemma etico per gli amministratori, ma è anche un tema giuridicamente controverso per la stessa Corte di giustizia europea. Tanto che i suoi avvocati generali stavolta sul tema sono divisi ed hanno emesso conclusioni opposte. Starà quindi ai giudici della Corte di Lussemburgo fare chiarezza sulla questione.

La contraddizione è emersa ieri, quando l’avvocato Eleanor Sharpston ha pubblicato le conclusioni sul caso di una donna musulmana assunta nel 2008 in Francia. Quando lavorava, a volte indossava un velo islamico che le copriva il capo. Ma quando uno dei clienti si è lamentato, l’azienda le ha chiesto di non metterlo più. La signora si è rifiutata ed è stata licenziata: la società sosteneva che il rifiuto rendeva impossibile lo svolgimento delle sue mansioni in rappresentanza dell’impresa.

L'avvocato Sharpston sostiene che il licenziamento della signora «configura una discriminazione diretta basata sulla religione o sulle convinzioni personali». Perché imporre a una dipendente di togliere il velo islamico quando si trova a contatto con i clienti «costituisce un'illegittima discriminazione diretta».

Le conclusioni di ieri contraddicono totalmente quelle pubblicate dalla sua collega Julian Kokott a maggio scorso. Per la Kokott il divieto di indossare il velo al lavoro è invece legittimo, quando risponde a una regola aziendale di neutralità religiosa e ideologica.

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