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Riforma Pa, arriva la stretta su 5mila partecipate

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lo scenario

Riforma Pa, arriva la stretta su 5mila partecipate

In Italia ci sono 3.035 società partecipate che non superano i 5 dipendenti ciascuna, e 2.093 che non dichiarano il proprio organico e che probabilmente hanno dimensioni analoghe. Sono queste 5mila micro-realtà le prime destinate a cadere nelle maglie della riforma, attuativa del capitolo dedicato dalla delega Madia alle società pubbliche, che ieri ha ricevuto il secondo via libera in consiglio dei ministri. La riforma, però, mette nel mirino anche il migliaio di aziende che la Pa ha creato in settori di mercato, dai servizi professionali alle assicurazioni fino al commercio all’ingrosso e al dettaglio (ci sono anche due enoteche regionali e un prosciuttificio), e spinge inoltre per l’aggregazione delle aziende che continueranno a esistere con effetti misurabili solo a consuntivo.

Ora il testo torna alle Camere come previsto (si veda Il Sole 24 Ore di giovedì scorso) per un’informativa alle commissioni sulle “condizioni” poste dal Parlamento e non accolte dal governo. Si tratta però di un passaggio dovuto che, come prevede la delega, non produrrà variazioni al testo in vista dell’adozione finale a stretto giro al punto che la ministra Marianna Madia parla di legge «entro l’estate»: anche perché le indicazioni più importanti avanzate dalle commissioni parlamentari su gestione del personale, controlli e criteri di individuazione delle società da alienare sono state accolte mentre su alcuni punti Camera e Senato hanno avanzato soluzioni diverse che ovviamente non avrebbero potuto essere inserite in contemporanea.

Il testo esaminato ieri dal governo, insomma, ha un carattere praticamente definitivo e conferma la tempistica dell’attrazione anticipata nei giorni scorsi, che dà sei mesi di tempo agli enti proprietari per scrivere i piani di razionalizzazione con l’alienazione obbligatoria delle partecipate fuori regola e alle società controllate dalla Pa per effettuare la ricognizione del personale e indicare i propri esuberi. Entro gennaio 2017 dovrebbero quindi arrivare le prime indicazioni concrete sugli effetti della riforma mentre il meccanismo della revisione ordinaria annuale slitta di un anno ma solo per il fatto che altrimenti, con il calendario pensato a gennaio, le scadenze di piano straordinario e piano ordinario annuale avrebbero finito praticamente per coincidere.

Il cuore della riforma risiede nella definizione puntuale dei confini entro i quali le Pa possono operare attraverso le loro partecipate. Le aziende possono avere la forma di Spa, Srl o società consortili, e possono essere attive in quattro campi: i servizi di interesse generale, la progettazione e realizzazione di opere pubbliche, i servizi strumentali (per esempio la gestione informatica dell'ente proprietario) e i servizi di committente a supporto degli enti non profit. Una deroga inserita per venire incontro alle richieste della Conferenza unificata salva le finanziarie regionali, inserite nell’elenco delle realtà escluse dalla riforma insieme a una serie di partecipate statali come Anas, Invitalia, Coni servizi, Invimit, Sogin e il Poligrafico. Salve anche le fiere e le aziende che gestiscono funivie.

Se rientrano nei settori ammessi, le società devono rispettare una serie di criteri ulteriori per sopravvivere: la riforma prevede infatti l'obbligo di alienazione, fusione o soppressione per le partecipate che non superano i 500mila euro di fatturato medio nel triennio (il testo originario fissava la soglia a un milione), oppure operano in campi già coperti da altre partecipate o hanno un numero di dipendenti inferiore a quello degli amministratori (che possono essere tre o cinque a seconda dei casi). Fuori dai servizi di interesse generale (per esempio il trasporto locale o l’igiene urbana) vanno chiuse le società che hanno chiuso in perdita quattro degli ultimi cinque esercizi, a patto che il rosso superi il 5% del fatturato.

L’alienazione o la chiusura di queste realtà, oppure la loro fusione per creare aziende più grandi in grado di superare le soglie fissate dalla riforma, andranno decise nei piani straordinari di razionalizzazione che gli enti proprietari dovranno scrivere nei sei mesi successivi all’entrata in vigore del decreto. Sulle partecipate che non rispettano i requisiti di legge le amministrazioni non avranno scelta, mentre la loro autonomia si dovrà concentrare sulle ulteriori misure di aggregazione di aziende o di taglio dei costi. I piani andranno scritti attraverso un’applicazione informatica gestita dal ministero dell’Economia e controllata dalla Corte dei conti. Il mancato rispetto dei termini fa scattare una sanzione amministrativa fino a 500mila euro oltre al rischio per gli amministratori locali di finire davanti alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti per rispondere di danno erariale. Amministratori che vedono spuntare nuovi vincoli sulla parte variabile della busta paga: per essere erogata servirà un miglioramento dei risultati di bilancio (in caso di “rosso” questo dovrà diminuire).

Proprio sui compiti della Corte dei conti, oltre che sulla gestione degli esuberi (su cui si veda l’articolo qui sotto) arrivano le novità più importanti rispetto al testo approvato a gennaio in prima lettura. Dopo parecchie incertezze, il decreto porta esplicitamente sotto la giurisdizione dei magistrati contabili gli amministratori e i dipendenti delle partecipate che si rendono responsabili di danno «patrimoniale o non patrimoniale» subito dagli enti partecipanti. E anche gli amministratori locali che con le loro scelte pregiudichino il ruolo della partecipazione. Un passo in avanti rispetto alla prima versione che prospettava per gli amministratori solo il rischio di azioni di responsabilità davanti al giudice ordinario.

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