Norme & Tributi

Il consulente paga il parere sbagliato

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Il consulente paga il parere sbagliato

Costa caro, per la precisione un milione di euro, al commercialista non avere rispettato la promessa fatta ai clienti di una ristrutturazione societaria senza esborsi fiscali. Il Fisco, invece, si era fatto avanti costringendo la società a versare, appunto, un milione di euro di imposte. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 15107 della Terza sezione civile depositata ieri, condanna il professionista a risarcire integralmente l’importo versato all’Erario.

Al commercialista era stata affidata un'operazione di ristrutturazione societaria di una certa complessità, per la quale il professionista aveva assicurato la completa assenza di tributi da versare perchè i conferimenti sarebbero rientrati in sospensione d’imposta. Garanzia che poi venne smentita dai fatti, con l’amministrazione finanziaria che si fece avanti ottenendo il pagamento di una cifra considerevole; di qui la domanda di inadempimento e risarcimento avanzata dal gruppo societario. E a quest’ultimo la Cassazione dà ragione addossando al commercialista il risarcimento dell’intero importo.

Per la Cassazione, infatti, è corretta la ricostruzione fatta dai giudici di merito, con la Corte d’appello che aveva in parte rivisto il giudizio di primo grado. La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto che il rapporto contrattuale tra committente e professionista venne regolato sulla base della precisa individuazione di alcuni obiettivi da raggiungere. Di qui l'irrilevanza dell’argomentazione, avanzata dalla difesa del commercialista,secondo la quale l’incarico di ristrutturazione sarebbe stato conferito anche nel caso di irragiungibilità dell’obiettivo della neutralità fiscale.

In particolare, a rilevare era la garanzia della sospensione d’imposta fornita al gruppo societario, di cui il commercialista si era incaricato di ridisegnare il perimetro. Questo rendeva, sottolinea la Cassazione, la sua obbligazione strumentale al raggiungimento di quel preciso risultato rappresentato dalla riorganizzazione del gruppo societario in regime di esenzione d’imposta. Bersaglio non raggiunto, però, proprio per responsabilità del professionista.

«Non dunque - avverte la Cassazione -, una riorganizzazione “qual che fosse” della struttura societaria, bensì una specifica riorganizzazione che consentisse al committente di andare esente da quella tassazione poi invece imposta alla società per fatto e colpa del debitore». Anche su questo passaggio, semaforo rosso per l’obiezione della difesa per la quale l’attività del commercialista anche in assenza di imperizia od omissione non avrebbe comunque consentito di l’esito positivo sperato.

In termini giuridici, ricorda la sentenza, la causa concreta del contratto d’opera professionale era costituito dallo scopo di evitare la tassazione, mentre l’oggetto era rappresentato dalla progettazione di un restyling societario in esenzione d’imposta.

In questo contesto, non pesa, conclude la Cassazione, la mancata dimostrazione da parte del gruppo societario che la ristrutturazione, se eseguita con altre modalità, avrebbe permesso di evitare il pagamento delle imposte.

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