Norme & Tributi

Dal caso Atlante primo segnale verso la strada delle sinergie

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L’ANALISI

Dal caso Atlante primo segnale verso la strada delle sinergie

La vicenda Atlante è la conferma che le Casse di previdenza privata rappresentano una realtà di tutto rispetto nell'economia e nella finanza del Paese.

La delibera dell’assemblea dell’Adepp, l’associazione che riunisce gli enti di previdenza dei professionisti, che annuncia la disponibilità a mettere in Atlante circa 500 milioni, è stata motivata con la necessità di agire, come fattore di stabilità, in una situazione che, se non affrontata, potrebbe innescare un incendio devastante nel sistema finanziario ed economico, con effetti rilevanti per famiglie e imprese. Bene il senso di responsabilità nella consapevolezza di rappresentare, le Casse, pregiate cassaforti di liquidità e di patrimonio. Naturalmente la disponibilità delle Casse potrebbe (dovrebbe?) essere ripagata dal Governo: molte sono le questioni pendenti. Dal riconoscimento della natura privata delle Casse, con il corollario di fuoriuscire dai confini delle pubbliche amministrazioni e dai vincoli finanziari della spending review alla possibilità inserita nel Ddl sul lavoro autonomo di poter gestire, da parte degli enti, un sistema di welfare per i professionisti, oltre alla previdenza di primo pilastro. Va poi citata la questione della tassazione su investimenti (al 27 per cento, con un credito d’imposta molto parziale) che fa il bis al momento del pagamento delle prestazioni. Per rimettere mano al Fisco previdenziale occorre però, oltre alla volontà politica, anche una buona dose di risorse. Già l’eventuale fuoriscita delle Casse dal consolidato nazionale dovrebbe portare a rivedere le voci del bilancio nazionale e le compatibilità delle grandezze alla luce dei vincoli europei. Insomma, le Casse giocano con Atlante la partita politica dell’autonomia, oltre che quella di attore rilevante nell’economia e nella finanza nazionale. Questa parte, per gli Enti di previdenza privata, è forse obbligata dalle circostanze e dall’opportunità politica. Tuttavia, non bisogna dimenticare, proprio adesso, qual è il compito fondamentale delle Casse: garantire le pensioni ai professionisti iscritti, come sottolineano le sigle sindacali che rapresentano i professionisti e che manifestano dubbi sull’operazione. È chiaro che una crisi finanziaria incontrollata colpirebbe, con i suoi centri concentrici, anche il bacino economico in cui vive la platea che appartiene alle Casse, tanto più in un contesto di crescita striminzita dopo anni di segni negativi. Proprio per questo, però, occorre esercitare la responsabilità della prudenza, perché- lo ripetiamo - il fine delle Casse è pagare le pensioni attraverso la valorizzazione dei contributi versati dagli iscritti. D’altra parte, come dimostrano i dati raccolti da Il Sole 24 Ore e pubblicati in queste pagine le Casse di previdenza, in particolare gli Enti privatizzati con il decreto 509/1994, costituiscono universi non immuni da problemi. Si dirà: «è un universo ricco di un patrimonio valutato in circa 80 miliardi». Tutto vero, ma la dote non è fine a se stessa, serve per le pensioni e per soddisfare il debito latente che, nel sistema di finanziamento a ripartizione, è stato accumulato con un sistema di calcolo retributivo molto generoso. Oggi, con le riforme, da ultimo promosse dalla legge Fornero, sono stati adottati correttivi al sistema di calcolo delle prestazioni, le Casse hanno previsto il calcolo contributivo pro rata, in qualche caso anche solo su segmenti “aggiuntivi” della contribuzione. Anche le aliquote contributive sono state innalzate perché nella previdenza non c’è tutela senza un risparmio adeguato. Tuttavia, il prezzo del passato è ancora molto pesante. Di più: le Casse, che devono fare i conti con un Paese che cresce solo dello “zero virgola”, si trovano ad affrontare l’invecchiamento dei propri iscritti e, in alcuni casi, la perdita di appeal della professione di riferimento. E i dati in cinque anni sull’andamento del rapporto tra attivi e pensionati devono far riflettere. La crescita dei pensionati in rapporto agli attivi ha interessato quasi tutti gli Enti, con l’eccezione eclatante di Cassa forense, che ha implementato, grazie alla riforma dell’ordinamento professionale, l’iscrizione di quanti pur esercitando la professione sfuggivano alla previdenza e dei farmacisti. Di contro, però, le entrate per contributi procedono a una velocità più moderata.

I segnali di maturità, con un’espressione forse sgradevole, di invecchiamento del sistema vanno attentamente seguiti, per evitare di arrivare a scoprire, un giorno, che una Cassa di previdenza ha meno attivi che pensionati. Occorre per tempo porsi il problema delle prospettive della professione, anche con la vigilanza e l’aiuto della politica e del Governo. Alleanze e sinergie all’interno del mondo previdenziale privato, magari per raggiungere dimensioni strategiche per gli investimenti, sono necessarie. L’unità fatta percepire nell’affaire di Atlante può segnare la buona strada.

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