Prima il tragitto da casa al lavoro. Poi subito l’uscita in giro per le vie della città a consegnare lettere ai cittadini. Con il rischio, concreto, di non trovare i destinatari. Uno spreco di tempo e di produttività, che ha spinto il Comune di Genova a scommettere sullo smart working: per 26 messi municipali si sperimenta da fine 2015 una forma di lavoro agile che permette loro, a giorni alterni, di consegnare le notifiche partendo direttamente da casa, in zone vicine alla propria residenza e decidendo i tempi in autonomia: all’ora di pranzo o a quella di cena, quando dovrebbe essere più facile trovare a casa le persone. E senza l’obbligo di recarsi alla sede centrale a timbrare il cartellino. Il risultato è che la produttività è salita da 10 a 12 notifiche di media al giorno e c’è stato un dimezzamento dei tempi di percorrenza, oltre alla riduzione del numero di raccomandate inviate a causa delle visite non andate a buon fine. Senza contare i minori costi per il Comune, che da ottobre farà partire altri sei progetti sperimentali di smart working in diversi ambiti: dai servizi di avvocatura alla gestione del personale.
Tutti vantaggi riscontrati all’interno di un ente pubblico che si registrano anche nelle aziende private che, d’intesa con i sindacati, imboccano la strada per consentire una maggiore flessibilità degli orari, con regole ad hoc sulla quantità delle ore di lavoro agile, su requisiti di accesso e modalità organizzative. C’è chi prevede due giorni al mese (come Abb e L’Oreal Italia), chi un tetto massimo l’anno (10 giorni in General Motors Powertrain), chi un giorno o più a settimana (è il caso di Bnl e Accenture, e in quest’ultima il “remote working” ha migliorato la logistica e ridotto del 25-30% gli spazi). Il progetto di Leroy Merlin, nato nel 2014 ed esteso a tutti i collaboratori, permette invece ai dipendenti della sede centrale di Rozzano, in provincia di Milano, di gestire in autonomia le 40 ore settimanali dalle 7 alle 21, su 5 o 6 giorni dal lunedì al sabato. In Siemens è possibile decidere come gestire il proprio tempo lavorativo tra diverse location e a chi lo fa sono consegnati i device necessari per lavorare: un’iniziativa abbinata al restyling degli spazi fisici delle sedi che facilita lo smart working anche quando le persone sono in ufficio.
Le sperimentazioni, insomma, non mancano e con il disegno di legge sul lavoro agile - atteso in Aula al Senato per la prima lettura a settembre - si punta a tracciare una cornice di regole comuni, a partire da una novità introdotta nel testo originario: il riconoscimento, nero su bianco, del diritto alla disconnessione del lavoratore “smart”.
Il lavoro agile potrà essere svolto in parte in azienda e in parte fuori, con i limiti di orario giornaliero e settimanale previsti dalla legge e dai contratti collettivi: in questa cornice sarà un accordo “su misura” siglato dalle parti a regolare l’esecuzione del lavoro svolto all’esterno, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici.
Dal maquillage realizzato dalla commissione Lavoro di Palazzo Madama sul disegno di legge esce così una definizione di smart working che si smarca ancor di più da quella di telelavoro, attività che si svolge in un luogo fisico diverso dalla sede dell’azienda (di solito la casa del lavoratore), dove è allestita una vera e propria postazione.
«Il telelavoro presuppone la connessione telematica - spiega Maurizio Del Conte, presidente dell’Anpal e autore del disegno di legge - e perciò il tempo di lavoro è sempre verificabile ogni minuto. Diverso lo smart working, che gode di una maggiore libertà oltre che sul luogo anche sull’orario, avendo come limite solo i tetti massimi fissati dalla legge e dai contratti collettivi».
Nell’accordo tra le parti ci saranno i tempi di riposo e «le misure tecniche e organizzative per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro». L’obiettivo, insomma, è quello di evitare che lo smart worker si lasci “catturare” un po’ troppo dalla tecnologia e resti connesso 24 ore su 24 ai dispositivi di lavoro.
Le tecnologie digitali, del resto, giocano un ruolo decisivo per la diffusione del lavoro agile. «In fase di progettazione - sottolinea Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano - si deve considerare la dotazione tecnologica attuale dell’azienda e di quella in arrivo, per comprendere la fattibilità del modello di smart working. Al tempo stesso, nella messa a punto dei piani di sviluppo legati alla tecnologia, devono essere analizzate le possibili ricadute sulle nuove modalità di organizzazione del lavoro».
Secondo l’Osservatorio del Politecnico - in base a una survey con possibilità di risposta multipla condotta su mille aziende medio-grandi - le principali barriere che limitano le iniziative di smart working riguardano la non ancora completa digitalizzazione dei processi aziendali (nel 51% dei casi), la scarsa efficacia nella comunicazione e collaborazione virtuale (45%) e le difficoltà dovute alla capacità di assicurare lo stesso livello di performance dei sistemi anche al di fuori della sede aziendale (41%).
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