Norme & Tributi

Spending review, flessibilità Ue e calo del debito variabili decisive

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l’analisi

Spending review, flessibilità Ue e calo del debito variabili decisive

  • – di Dino, Pesole

Ridurre le tasse è possibile, di certo auspicabile dati gli attuali livelli della pressione fiscale e l’iniqua distribuzione del carico tributario e contributivo causato dall’alta evasione, a patto che con la prossima manovra di bilancio vengano rispettate tre condizioni: coperture certe e strutturali da affidare non all’aumento del deficit o ad entrate una tantum ma a contestuali tagli della spesa corrente primaria (almeno 10-12 miliardi per rendere visibile e incisivo il taglio delle tasse); flessibilità Ue in grado di aprire spazi di azione sul versante del deficit destinati a neutralizzare integralmente le clausole di salvaguardia (aumento di Iva e accise); conferma da parte del Governo dell’impegno a ridurre il debito pubblico dall’attuale livello record del 132,7% del Pil. Solo in tal modo il reiterato annuncio del presidente del Consiglio Matteo Renzi («con la legge di bilancio ridurremo ancora le tasse») potrà basarsi su fondamenta solide, a prova di mercati prima ancora che del giudizio di Bruxelles. Con la Commissione Ue il confronto entrerà nel vivo a partire dalle prossime settimane e riguarderà sia la richiesta di ulteriore flessibilità dopo i 14 miliardi ottenuti quest’anno (l’obiettivo è far salire il deficit 2017 dall’1,8% nei dintorni del 2,2-2,3%), sia la composizione e distribuzione dei prospettati tagli alle tasse. Le raccomandazioni rivolte all’Italia dalla Commissione europea ribadiscono un invito già più volte enunciato: occorre concentrare gli sgravi fiscali sui fattori della produzione, in primis il lavoro, spostando il carico fiscale sui consumi. Con la manovra 2016 il Governo ha deciso altrimenti, concentrando buona parte dei tagli sulla casa, attraverso l’abolizione della Tasi sulla prima abitazione, dopo aver privilegiato i redditi (la manovra degli 80 euro). Sul fronte del costo del lavoro, si è agito sull’Irap (attraverso il taglio della componente lavoro dal calcolo della base imponibile), oltre che con il Jobs act e la decontribuzione triennale per i neoassunti a tempo indeterminato (ridotta nel 2016). Poi è stata la volta del superammortamento del 140% per le imprese, con il taglio dell’Ires dal 27,5 al 24% in programma dal prossimo anno.

Prima ancora di avviare la trattativa con Bruxelles sui tagli fiscali, una volta aggiornato a fine settembre il quadro macroeconomico e fissata l’entità della manovra 2017, il Governo dovrà però far fronte alle obiezioni che certamente verranno avanzate dai paesi più rigoristi presenti in sede di Eurogruppo ed Ecofin, relativamente all’andamento del debito pubblico. A maggio, quando Bruxelles decretò il via libera alla legge di Stabilità del 2016 con annessa flessibilità per lo 0,75% del Pil, il Governo, anche in reiterati scambi di lettere tra il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il responsabile Ue per gli Affari economici Pierre Moscovici e il vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis, ribadì l’impegno a ridurre il debito già quest’anno al 132,4% anche grazie all’apporto delle privatizzazioni (Enav e seconda tranche di Poste). Non era dello stesso avviso Bruxelles che nelle sue stime primaverili fissò il target 2016 allo stesso livello del 2015 (132,7%), rinviando la discesa al 2017 (131,8%). La frenata del Pil nel secondo trimestre dell’anno e l’inflazione assai vicina allo zero pongono ora a rischio l’obiettivo del Governo, poiché il target del debito è espresso in termini nominali. Sulla carta, potremmo essere sottoposti a procedura d’infrazione per violazione della “regola del debito”. Se ciò non avverrà (come pare probabile e francamente auspicabile) lo si dovrà a valutazioni prettamente politiche, come del resto è avvenuto lo scorso 12 luglio quando Bruxelles ha deciso di non procedere con sanzioni nei confronti di Spagna e Portogallo, pur in presenza di una procedura d'infrazione per disavanzo eccessivo. Non per questo ci si potrà rilassare più di tanto sul fronte del debito. Il che comporterà un costante controllo della spesa corrente primaria, mentre la spinta al Pil dovrebbe essere assicurata dall’annunciata ripartenza degli investimenti, oltre che dagli effetti (tutti da verificare) dell’annunciato taglio delle tasse.

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