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Possibile licenziare due volte il medesimo dipendente

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Possibile licenziare due volte il medesimo dipendente

Le parti della controversia non erano James Stewart e Kim Novak e non è stato Alfred Hitchcock a firmare la sentenza 17247/2016 depositata ieri con cui la Corte di cassazione ha respinto il ricorso di un lavoratore che è stato licenziato due volte: la prima per ragioni disciplinari, decisione impugnata e per le quale ha chiesto la reintegra sulla base di varie ragioni, tra le quali il fatto di esser stato in seguito licenziato anche per superamento del periodo di comporto.

Secondo il ricorrente, il secondo licenziamento sarebbe stato incompatibile con quello precedente e ne avrebbe confermato l’avvenuta revoca, dal momento che la controversia circa il fondamento del primo licenziamento era ancora in corso. Il lavoratore ha sostenuto anche che, nel corso del procedimento di merito, il datore di lavoro avrebbe confermato l’avvenuto superamento del primo licenziamento e la cessazione della materia del contendere, ma la Suprema corte non ha ritenuto di prendere in considerazione questo argomento, poiché l’atto che avrebbe contenuto tale conferma non è stato prodotto in sede di Cassazione.

Mentre il film del maestro Hitchock («La donna che visse due volte») resta un capolavoro unico della storia del cinema, le controversie che riguardano licenziamenti dello stesso lavoratore a distanza di breve tempo sono più frequenti di quanto si possa pensare. Accade che, a fronte di una domanda di reintegra e mentre permane il dubbio circa l’esito della relativa controversia, il datore di lavoro apprenda circostanze nuove che giustificherebbero un licenziamento (nel caso in esame il secondo licenziamento è avvenuto per superamento del periodo di comporto, ma purtroppo non è chiaro quando ciò si sarebbe perfezionato).

Secondo l’orientamento confermato dalla sentenza di ieri, il datore può validamente operare un secondo licenziamento: nel caso in cui il primo recesso venga caducato, avrà effetto il secondo; viceversa, qualora il primo licenziamento superi l’esame giudiziale, non si terrà conto del secondo.

Il ragionamento per arrivare a tale conclusione fa perno sulla normativa che regola la tutela cosiddetta reale del rapporto di lavoro, ossia solo dove il primo licenziamento sia soggetto alla disciplina che prevede la reintegra. Secondo la Corte, nonostante la disposizione di legge attribuisca ai giudici il potere di “annullare” il licenziamento viziato, la disciplina complessiva della reintegra dimostrerebbe che un licenziamento viziato non farebbe in realtà mai venir meno il rapporto di lavoro, rendendo così del tutto plausibile e giustificato il fatto che il datore, ove ne ricorrano gli estremi, commini un successivo licenziamento.

In un passato neanche troppo lontano, la Cassazione ha affrontato vicende simili con conclusioni diverse. Ad esempio, nel 2006 (sentenza 5125) la Corte ha ritenuto che solo l’annullamento giudiziale del primo licenziamento potrebbe far rivivere il rapporto di lavoro, con la conseguenza che se il datore operasse un secondo recesso prima della reintegra, il secondo licenziamento non avrebbe effetto alcuno. Non sfugge l’evidente iniquità di una simile conclusione, che porta il datore di lavoro a poter subire una reintegra in base al primo licenziamento, senza poter far valere eventuali circostanze nuove che comunque fonderebbero un nuovo recesso.

In tal modo la vecchia soluzione risultava contraria a intuibili considerazioni di valutazione economica delle soluzioni giuridiche ed è bene che sia stata superata dal nuovo orientamento.

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