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E-commerce: abusive le clausole standard se risultano ingannevoli

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La sentenza

E-commerce: abusive le clausole standard se risultano ingannevoli

La Corte di giustizia dell’Unione europea blocca la scelta di clausole poste nelle condizioni generali di un contratto nel commercio elettronico che limitano il consumatore/acquirente. Con la sentenza del 28 luglio (C-191/15), che vedeva contrapposti la società Amazon Eu, con sede in Lussemburgo, e l’associazione per l’informazione dei consumatori austriaca, gli eurogiudici hanno chiarito che le clausole non oggetto di un negoziato individuale, inserite dal venditore nelle condizioni generali di vendita, sono abusive se fanno intendere al consumatore che per regolare gli acquisti via web si applica la legge del Paese in cui ha sede il professionista/venditore, senza chiarire che vanno applicate anche altre norme a tutela del consumatore, fissate dal regolamento Ue n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I).

Questi i fatti. La società Amazon Ee, stabilita in Lussemburgo e attiva anche in Austria con un sito internet con un dominio con estensione “.de”, rivolgendosi direttamente ai consumatori austriaci, senza avere sede o filiale nello Stato membro, inseriva in modo regolare, nelle condizioni generali contrattuali, alcune regole nelle quali chiariva di non riconoscere clausole «difformi apposte dal cliente». Inoltre, nel caso di pagamento vista fattura Amazon si riservava di scambiare dati con altre imprese del gruppo e di utilizzare i calcoli probabilistici per la valutazione del rischio di inadempimento raccolti da una società tedesca. L’associazione per l’informazione dei consumatori di Vienna ha avviato un’azione collettiva chiedendo un’ingiunzione sull’utilizzo di queste clausole. Il giudice di primo grado ha accolto la richiesta, ma il verdetto è stato ribaltato in appello. Di qui la decisione della Corte suprema di chiedere chiarimenti a Lussemburgo sulla legge da applicare alle azioni inibitorie e alle clausole contrattuali.

Chiarito che l’utilizzo delle clausole abusive, con conseguente violazione dell’ordinamento giuridico, comporta una responsabilità extracontrattuale derivante da fatto illecito, la Corte ha stabilito la necessità di applicare il regolamento Ue n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II) e, in particolare, le disposizioni sulla concorrenza sleale (articolo 6) che comportano il richiamo della legge del Paese in cui sono lesi o rischiano di essere lesi i rapporti di concorrenza o gli interessi collettivi dei consumatori. Il principio della lex loci damni determina così che, nel caso di offerte rivolte da una società di commercio elettronico direttamente a un mercato – in questo caso quello austriaco – deve essere applicata la legge del Paese in cui sono lesi gli interessi collettivi dei consumatori. Bocciato, quindi, l’utilizzo della legge dello Stato in cui ha sede la società, malgrado l’inserimento di una clausola di questo genere nelle condizioni generali. Sciolta la questione della legge che disciplina l’azione inibitoria, la Corte ha precisato che, però, per valutare una clausola contrattuale si applica il regolamento Roma I. Fermo restando, però, che alla luce della direttiva 93/13 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, una clausola non negoziata individualmente è abusiva se induce in errore il consumatore medio.

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